Guida sentimentale ai Monti di Avella: Le Ripe della Falconara

Guida sentimentale ai Monti di Avella: Le Ripe della Falconara

 

a cura di Valentina Guerriero

Il 28 ottobre il giorno oramai aperto come un barattolo di conserve scivolava all’indietro così come i balconi del salone aperti e piatti che sembravano fogli di carta disposti sui muri della casa mentre si allontanavano alle mie spalle. Le preoccupazioni le avevo infilate in un cassetto della scrivania. L’avevo chiuso ed ero andata via alla ricerca del tramonto. Il sole era inclinato così come un quarto di secolo e mi mostrava, aperto come un ventaglio, un sacco di cose passate. Inseguire il giorno non era facile: finiva e avanzava ad una velocità che non riuscivo mai a raggiungere. Raggiungemmo però in tempo la località Tre Castagni e avanzando in un bosco di alberi sottili, giovani e incerti faggi d’allevamento, pronti ad essere macellati appena raggiunta la maggiore età, ci trovammo con pochi passi sulle Ripe della Falconara. Una mantide religiosa adocchiata fra i rami spezzati e i fili d’erba abbracciava con le sue lunghe zampe anteriori uno stelo, in un’erotica danza di animale criminale che ha fatto della sua cattiveria la virtù che le serve alla sopravvivenza. Ognuno è fatto in un modo, e allora perché biasimare la signora Mantide? Sulle Ripe i cespugli si srotolavano come porcospini accesi dal sole di ottobre e il cielo liquido e nero colava basso nella piana come sul fondo di un bicchiere. Il liquore al suo interno stava vacillando in un movimento circolare. Il fondo era rosso e luminoso, riccioli d’elettricità spuntavano dal terreno vivo pieno di insetti mantidi talpe e altri animali che gli esseri umani non sono soliti incontrare. Mentre ai bordi una sorta di precipizio, a picco nella Valle delle Fontanelle, inghiottiva i ricordi dei giorni già vissuti, una coltre di nebbia stava sovrastando il Clanio e le sue strade tortuose. Mi adagiai nella dentatura di un gigante, e lì rimasi. Alcuni rapaci volavano in tondo su di noi e due rocce incastonate di fronte alle Ripe si mostravano ben più forti e incuranti della foschia.
Una di esse è il Ciesco della Rosa, chiamato così per la presenza di rose canine, raccontavano che fosse sepolto nei suoi pressi un tesoro di briganti.
All’uscita dalla piana il giorno si chiudeva. Ce l’avevo fatta di nuovo, a vincere il giorno. Era passato, ma avevo vinto e l’avevo vissuto, ingoiando quel tramonto e quei falchi che mi rigiravano in tondo. Ma nonostante l’esito della sfida erano le Ripe della Falconara a possedere me, a tenermi incatenata, con un gancio nel giorno in cui compivo i 25 anni.

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