SANT’Oggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

SANTOggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

SANTOggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Corpus Domini (Corpo del Signore) è una delle principali solennità dell’anno liturgico della Chiesa cattolica. Tale festa ha origine e trova il suo significato più profondo nel racconto dell’Ultima cena. La sera del Giovedì santo, al drammatico tradimento di Giuda, Gesù risponde con un gesto di donazione totale di sé! Non dona solo il suo affetto e la sua vicinanza, ma dona tutto sé stesso: «Questo è il mio corpo…questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me». È in queste parole di Gesù, che trova senso e fondamento l’Eucaristia. La solennità del Corpus Domini nacque nel 1247 come festa nella diocesi di Liegi (Belgio), per celebrare la reale presenza di Cristo nell’eucarestia in reazione alle tesi di SANTOggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di CristoBerengario di Tours, secondo il quale la presenza di Cristo non era reale, ma solo simbolica. Solennità istituita da papa Urbano IV, con la bolla pontificia Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264, da Orvieto dove aveva stabilito la residenza della corte pontificia, estese la solennità a tutta la Chiesa. L’anno precedente si fa risalire tradizionalmente anche il Miracolo eucaristico di Bolsena. L’introduzione di questa festività nel calendario cristiano la si deve principalmente a una donna, santa Giuliana di Cornillon, una monaca agostiniana vissuta nella prima metà del XIII secolo. Da giovane avrebbe avuto una visione della Chiesa con le sembianze di una luna piena, ma con una macchia scura, a indicare la mancanza di una festività. Nel 1208 ebbe un’altra visione, ma questa volta le sarebbe apparso Cristo stesso, che le chiese di adoperarsi perché venisse istituita la festa del Santissimo Sacramento, per ravvivare la fede dei fedeli e per espiare i peccati commessi contro il sacramento dell’Eucarestia. Dal 1222, anno in cui era stata nominata priora del convento di Mont Cornillon, chiese consiglio ai maggiori teologi ed ecclesiastici del tempo per chiedere l’istituzione della festa. Scrisse una petizione anche a Hughes de Saint Cher, all’arcidiacono di Liegi, Jacques Pantaléon (futuro Urbano IV) e a Roberto de Thorotte Roberto de Thourotte, vescovo di Liegi. Furono proprio l’iniziativa e le insistenti richieste della monaca a far sì che, nel 1246, Roberto de Thourotte convocasse un concilio e ordinasse, a partire dall’anno successivo, la celebrazione della festa del Corpus Domini. All’epoca i vescovi avevano infatti la facoltà di istituire festività all’interno delle loro diocesi. Si dovette aspettare però il 1264, alcuni anni dopo la morte di suor Giuliana e di Roberto de Thourotte, perché la celebrazione fosse estesa a tutta la Chiesa universale. Durante il periodo delle guerre di religione in Francia, la processione del Corpus Domini fu oggetto di ostilità da parte degli Ugonotti. Infatti i Calvinisti (noti in Francia come Ugonotti) negano la transustanziazione come leggenda priva di fondamento, e persino offensiva nei confronti della religione evangelica. Gli Ugonotti facevano la processione oggetto di numerose provocazioni, e veri e propri attacchi alle immagini e all’ostia, oppure semplicemente dimostravano la loro diversità religiosa (non stendendo alla finestra le tovaglie). Papa Urbano IV incaricò san Tommaso d’Aquino di comporre l’ufficio della solennità e della messa del Corpus et Sanguis Domini. In quel tempo, era il 1264, san Tommaso risiedeva, come il pontefice, ad Orvieto, nel convento di San Domenico, dove insegnava teologia nello Studium. L’inno principale del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri, è il Pange lingua.
SANTOggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo18 giugno: santa Marina di Bitinia, nacque in Bitinia (antica regione dell’Asia Minore) nel 725 circa, da genitori cristiani, dopo la morte della madre, il padre Eugenio, addolorato per la perdita della moglie, decise di ritirarsi in un convento, Marina era molto triste per la lontananza del padre, allora un giorno, recatosi dall’abate disse che a casa aveva un figlio, il quale aveva espresso il desiderio di poter entrare nel convento, l’abate commosso, consentì all’uomo di poter portare il figlio, Eugenio partì e prese con sé la figlia, nella giovane età di 14 anni, parve a tutti un angelo di monaco e nessuno si accorse che “fra Marino” era una donna, ed essa, incominciata la vita di monaco si dedicò con pienezza a Dio e ai poveri, restò in convento anche dopo la morte del padre, conducendo vita monastica e seguendo gli insegnamenti dell’amato padre; i monaci erano soliti andare una volta al mese al mercato di un paese vicino al mare, dove compravano tutto ciò ch’era necessario ai loro bisogni, se li avesse sorpresi la notte, si fermavano presso un albergatore devoto del convento, l’uomo aveva una figlia, la quale di nascosto dei genitori amoreggiando con un soldato e rimase incinta, i suoi genitori si accorsero del suo stato e le domandarono il nome del suo seduttore. La ragazza d’accordo con il soldato per salvarlo, disse ch’era stata sedotta da Marino, che era stato lui a violarle la verginità, a questa rivelazione i genitori pieni d’ira, corsero al monastero e con parole aspre riferirono all’abate l’oscena ingiuria; stupito l’abate di questa accusa, non volle crederle; per discolparlo dagl’insolenti accusatori, chiamò Marino, il quale, sentendo di che veniva accusato, mentre avrebbe potuto difendersi, non rispose, a quel silenzio l’abate lo cacciò dal monastero. Marina, trovò rifugio in una grotta. Dopo un anno il frutto dell’impuro amore della figlia dell’albergatore, viene portato da Marina, gettandolo ai suoi piedi; Marina accolse il bambino, come se fosse stato suo figlio, e per lui ebbe tutte le cure più affettuose. Si narra che il bambino si chiamasse Fortunato. Dopo 5 anni i monaci, che intanto avevano ammirato la perseveranza di Marino, commossi per tanta virtù, si prostrarono dall’abate, affinché si degnasse di riammettere Marino in mezzo a loro, ma dopo tante domande sul perdono dei propri fratelli, l’abate cedette, al rientro in convento le viene dato il compito della pulizia del monastero. Poco tempo dopo il rientro in convento, Marina, vissuta sempre fra le fatiche, i disagi e i patimenti, consumata dalla straordinaria penitenza, sofferta per 5 anni e dopo le fatiche dei lavori affidatogli al rientro in monastero, si trovò prossima al termine dei suoi giorni. Un mattino i suoi confratelli, non vedendola, si preoccuparono per la sua salute e si accorsero e che era prossima alla morte; accanto a lei c’era il piccolo Fortunato, che mai l’abbandonava credendo che fosse il padre. Era usanza per i frati lavare il corpo di colui che moriva, ma improvvisamente indietreggiano e dopo essersi guardati l’un l’altro gridarono stupiti che Marino era una donna e non un uomo, a questo grido accorre l’abate che verificando l’accaduto si prostrò ai piedi di Marina e chiese perdono al Signore per la punizione che aveva inflitto a Marina, così pregò a lungo; nel frattempo la notizia arrivò anche alle orecchie della calunniatrice che per la vergogna si chiuse in casa e confessò il suo peccato, giunta al monastero la calunniatrice si inginocchiò davanti al corpo di Marina implorando perdono, in quell’istante avvenne il primo miracolo di Marina che intercesse presso Dio per liberare la calunniatrice da satana che per anni l’aveva insidiata, così una luce dal cielo l’illuminò e la guarì dal male; patrona della parrocchia di Avella.
SANTOggi. Domenica 18 giugno la chiesa festeggia il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo18 giugno: san Gregorio Barbarigo (Gregorio Giovanni Gaspare Barbarigo) nacque a Venezia il 16 settembre 1625, da una ricca famiglia veneziana. Orfano della madre, è il padre a occuparsi della formazione di Gregorio, segnata sin dall’inizio dalla pratica intensa della preghiera, mentre sono i precettori a insegnargli il latino e il greco. L’11 agosto 1643 accompagnò l’ambasciatore veneziano Alvise Contarini a Münster (Germania) per le negoziazioni della Pace di Vestfalia che pose termine alla Guerra dei Trent’anni. Un periodo, questo in Vestfalia, che vede il giovane impratichirsi negli “affari politici”, assimilare le lingue, svolgere compiti di segreteria ricopiando, traducendo, contattando, muovendosi di frequente per rapide puntate ad Amburgo, all’Aia, ad Amsterdam e a Copenaghen. Impressionato l’arcivescovo Fabio Chigi (futuro Alessandro VII) allora nunzio apostolico in Germania, nel vederlo in chiesa recitare l’ufficio della Vergine, un impegno, per Gregorio, quotidiano ricalcato scrupolosamente dall’esempio paterno. Ne sortisce un incontro per Gregorio decisivo poiché ne segue un’assidua frequentazione lungo la quale Chigi assume sempre più una funzione di indicazione, orientamento che lo innalza, agli occhi di Gregorio, ad autorevole guida spirituale. Lasciata Münster, Gregorio non ha fretta di rimpatriare: prima una deviazione in Olanda e nelle Fiandre. All’Università di Padova si laureò in utroque iure il 25 settembre 1655. Nei suoi progetti, desiderava diventare religioso, ma il suo direttore spirituale gli consigliò di intraprendere la via per diventare prete diocesano, perché vedeva in lui le doti del parroco. Fu ordinato sacerdote il 21 dicembre 1655 a 30 anni. Papa Alessandro VII lo chiamò poco tempo dopo a Roma nel 1656. Gli conferì l’incarico di “prelato domestico di sua santità” e gli affidò altri incarichi tra i quali la guida del Tribunale della Segnatura Apostolica. Quando nel maggio del 1656 scoppiò a Roma l’epidemia di peste, il papa lo pose a capo della commissione che aveva il compito di portare soccorso agli appestati. Gregorio si dedicò a tale missione visitando i malati, organizzando la sepoltura dei deceduti, ed aiutando in modo particolare le vedevo e gli orfani. Terminata l’epidemia di peste, il 29 luglio 1657, fu eletto vescovo di Bergamo. Giunto a Bergamo chiese che si desse ai poveri ciò che si sarebbe speso per i festeggiamenti del suo ricevimento. In seguito vendette tutti i suoi averi e li distribuì ai bisognosi, suo desiderio era imitare in tutto il grande arcivescovo di Milano san Carlo Borromeo. Nelle sue visite alloggiava in casa di gente povera e mangiava con loro adattandosi a uno stile austero e dimesso. Di giorno si dedicava all’insegnamento del catechismo, e di notte passava lunghe ore in preghiera. Alessandro VII lo creò cardinale il 5 aprile 1660. Il 24 marzo 1664 il papa lo mandò vescovo a Padova, diocesi che guiderà per 33 anni fino alla morte. Papa Innocenzo XI, eletto il 21 settembre 1676, lo trattenne a Roma per tre anni e mezzo come suo consigliere, e gli affidò la supervisione dell’insegnamento cattolico nella città. Tornato a Padova visita le parrocchie della diocesi. Il 14 giugno 1697 ammette di non sentirsi bene; il 15 cade ammalato. Morì il 18 giugno 1697, a 72 anni