Ansia e depressione fanno invecchiare il cervello

Ansia e depressione fanno invecchiare il cervello

I due disturbi possono incentivare il decadimento cognitivo. Importante prevenire

In quale modo l’ansia e la depressione possono incidere sulla velocità con la quale il cervello invecchia? Il cervello così come tutti gli organi e apparati del corpo umano, è soggetto a usura e invecchiamento, anche se tali processi avvengono per ogni persona con tempistiche e modalità completamente differenti.

Se il deterioramento delle capacità intellettive, di apprendimento e di memoria assume contorni irreversibili, si assiste ad alterazioni del comportamento che impediscono a chi ne soffre, di vivere la quotidianità, relazionarsi con gli altri, comunicare. Ecco che sopraggiunge la demenza.

IMPATTO DELLA DEPRESSIONE SUL DECLINO COGNITIVO

Uno studio recente ha evidenziato come soffrire di depressione acceleri il processo di deterioramento dello stato cognitivo in età adulta avanzata. In questo studio anche se non è stato possibile quantificare la velocità, si è visto che la depressione e l’ansia, nelle persone anziane, accelerano il decadimento di funzioni quali quelle mnemoniche, incidono negativamente sulla capacità decisionale e sulla velocità di elaborazione delle informazioni.

 

Queste evidenze impongono sicuramente una riflessione: da una parte vi è la necessità di non sottovalutare la portata del decadimento cognitivo che va contrastato attivamente, dall’altra vi deve essere la sensibilità di percepire e quindi diagnosticare un possibile stato depressivo, che non va mai sottovalutato, ma sempre affrontato, tenendo presente che tanto più precoce è l’interveto migliore sarà la prognosi.

 

CONTRASTARE IL DECLINO COGNITIVO SI PUÒ

La funzione cognitiva è soggetta a fisiologico invecchiamento e quindi non bisogna trascurare l’importanza di una vera e propria ginnastica per il cervello. «Le prime fasi di una perdita di lucidità intellettiva si giovano di stimolazione delle funzioni di memoria, attentive, esecutive o di logica, un po’ come succede con gli esercizi enigmistici, con la precisazione che per la memoria si è rivelato più utile l’esercizio di apprendimento di strategie per ricordare, come per esempio mettere in ordine, associare oggetti famigliari alle parole, piuttosto che la pura ripetizione di frasi, parole o oggetti.

 

Utile anche il rinforzo dei punti di riferimento di tempo e di spazio (orientamento alla realtà), e anche la stimolazione aspecifica composta di più stimoli, dall’esercizio fisico alla relazione e al gioco, si sono rivelati tanto più efficaci quanto più marcato è il deficit cognitivo- commenta Antonio Guaita geriatra, direttore della Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (MI) che precisa anche – Quando invece, purtroppo, si assiste all’aggravarsi della perdita cognitiva è poco utile, impossibile o alle volte inutilmente stressante lo stimolo cognitivo intensivo.

In questa fase non si riesce più a recuperare con l’esercizio ciò che è andato perduto, per cui l’atteggiamento è quello che si ha con chi ha perduto una parte del corpo, come un amputato: bisogna costruire una protesi ambientale per la persona che ha sviluppato, ormai la demenza. Tutto quello che si mette in campo a questo punto ha come obiettivo la serenità e la qualità di vita del paziente e non la prestazione, che tuttavia migliora come conseguenza dell’assenza di stress per il malato e per chi lo cura».

NON TRASCURARE I PRIMI SINTOMI DI DEPRESSIONE

Lo studio scientifico in questione impone anche un’altra riflessione ovvero quella di non trascurare la presenza e la cura di un disturbo depressivo in un paziente. Il monito vale anche per i medici di medicina generale che di solito costituiscono i primi interlocutori del paziente anziano; è importante non sottovalutare l’andamento di una certa tristezza che può sfociare nella depressione.

«Fra tristezza e depressione vi è un continuum di stati successivi che rende difficile stabilire una soglia universale, per capire se vi sono gli estremi per ravvisare l’inizio di uno stato depressivo. La depressione non è come l’influenza che o ce l’hai o non ce l’hai- spiega ancora il dottor Guaita che conclude- Di sicuro è importante non trascurare quelli che solo all’apparenza possono sembrare dettagli, quindi se il paziente riferisce di avere difficoltà a dormire o al contrario dorme troppo, non ha più appetito o mangia continuamente, se non riesce a elaborare un lutto in un tempo fisiologico si dovrebbe sospettare la presenza di un disturbo depressivo.

Molti avvenimenti della vita degli anziani possono favorire la depressione: la perdita del lavoro, di amici e famigliari e quella di un preciso ruolo sociale. L’elaborazione di queste perdite è sempre difficile se non ci si prepara in tempo. È importante che l’anziano acquisisca la consapevolezza che la vita prima veniva a cercare e bussava alla porta e bastava rispondere. Da vecchi, se si aspetta la chiamata, si rischia di aspettare invano e bisogna quindi abituarsi a prendere, subito, appena possibile, l’iniziativa: per questo è importante partecipare a gruppi, soprattutto, da quelli di ginnastica alle università della terza età, ai cori, ai gruppi turistici. Anche occuparsi di altri, dai bisogni dei propri simili, oppure di un animale; perfino i fiori o l’orto possono contrastare efficacemente il senso di solitudine e inutilità che spesso precede la depressione».