Architetti di Avellino. Riflessioni sulla ricostruzione del post-sisma in Irpinia

Architetti di Avellino. Riflessioni sulla ricostruzione del post sisma in Irpinia

In occasione del convegno organizzato dagli ordini degli Architetti e degli Ingegneri della provincia di Avellino, il prossimo giovedì 3 dicembre, alle ore 15.30, con la partecipazione dei presidenti nazionali Giuseppe Cappochin e Armando Zambrano, dell’assessore regionale Bruno Discepolo, di Roberta Santaniello, del giornalista Generoso Picone, di Fernando Fraternali, di Aldo Vella, di Carlo De Luca, di Raffaele Troncone,  dal tema “ Quaranta anni dopo, riflessioni sulla ricostruzione del post-sisma in Irpinia”, si riporta di seguito una frase di Indro Montanelli, con l’intento di continuare l’azione di riflessione anche dopo l’ultimo anniversario. “.. Non vorremmo, dopo averne deplorato il brutto vezzo, contribuire alle polemiche nel momento in cui bisogna invece accantonarle per fare frontecompatto per il salvataggio del salvabile. Ma basta con le «regole» che servono soltanto a rendere impenetrabili le responsabilità dei disastri quando i disastri si possono ricondurre a delle responsabilità umane (come non accade, per esempio, nei terremoti). Ma quando verrà l’ora della ricostruzione, ricordiamoci che l’urbanistica e il paesaggio italiano hanno bisogno non di altre, ma di meno «regole». E, più che di cemento, di dinamite...”. È con questa frase di Indro Montanelli, tra i più popolari giornalisti e scrittori italiani del Novecento che vogliamo stimolare una riflessione, a distanza di 40 anni da quel terribile evento che segnò per sempre la nostra terra. Vogliamo discutere e riflettere  sulla ricostruzione del post-sisma in Irpinia. Della prevenzione, delle nuove culture, della sensibilità e coscienze emerse nei decenni successivi. Delle comunità  e generazioni frammentate tra vecchio e moderno. Delle cose prodotte,  delle architetture realizzate e forse delle occasioni perse dagli uomini di questo tempo. Quarant’anni fa, nella domenica del 23 novembre del 1980 alle ore 19.36, una scossa lunga l’eternità di un minuto e venti secondi provocò qualcosa come 2.914 morti, 8.848 feriti, 280 mila sfollati. Paesi interamente rasi al suolo, altri gravemente danneggiati e migliaia di case distrutte. Questi i numeri del terremoto di una parte della Campania e della Basilicata, ricordata come la più grave catastrofe dei tempi moderni nel Mezzogiorno d’Italia, dopo il sisma di Messina, agli inizi del Novecento. Certi numeri, per certi versi antichi, trovano oggi assonanza con altri drammi moderni, dei giorni nostri, come quella pandemica del covid che non ha smosso pietre ed edifici per svilire gli animi umani ma che ci pone in contraddizione rispetto a strumenti e antidoti diversi. In questi decenni il corpus legislativo ha senz’altro migliorato, attraverso le nuove tecniche di costruzione, la  normativa antisismica, anche se spesso mediante una politica ex post, successiva ad eventi calamitosi. Nonostante tutto nel nostro paese vi è una sensibilità attenta nei confronti dei terremoti e di altre emergenze di natura diversa ma tanto ancora c’è da fare. Il convegno vuole dare un contributo anche per cambiare la cultura del rischio nel nostro Paese. Attraverso il dialogo con le istituzioni e l’educazione e formazione degli addetti ai lavori e dei cittadini.  Non basta ricostruire nuove case, spesso scatole vuote in centri storici disabitati e privi di anime. Bisogna ricostruire le comunità, le vite sociali ed economiche delle persone e dare un senso alle cose che ogni giorno ci accompagnano nel nostro viaggio. “ E’ necessario aprire un serio confronto sul rischio sismico del territorio, ci proporremo insieme ai nostri iscritti per dare contributi professionali a diffondere la tesi della prevenzione, la nostra è una terra incantevole, ma allo stesso tempo preda della sua natura e dei suoi effetti”, lo dichiara il presidente degli architetti irpini Erminio Petecca. “ Questi quanta anni devono rappresentare un punto di partenza per tutti quelli che da questo territorio non sono scappati ma che hanno avuto il coraggio, e lo hanno tutt’ora, di rimanere per fare impresa, creare sviluppo perché credono nelle loro radici”. Lo dichiara il presidente degli ingegneri irpini “ Vincenzo Zigarella.