Calcio giovanile, era rock il Baiano del ‘70\71

Calcio giovanile, era rock il Baiano del ‘70\71

di Gianni Amodeo

Mi ritrovo sul monitor del Pc una fotocolor di gruppo, cortesemente inviatami per email da Geppino Caviglia, amico di lunga data e solerte agente di un rinomato Istituto di Vigilanza privata. Una strenna natalizia a sorpresa, per quanto piacevole e della quale rendo vive grazie al mittente, con la stessa intensità d’affetto provata e comunicatami da tutti i componenti del “gruppo” ai quali è stata “girata”, che si sono ritrovati idealmente- inclusa la curiosità di mogli, figli e nipoti- rivedendosi  così com’erano … appena mezzo secolo fa. Un dono, che fa sollevare un lembo della coltre di ricordi comuni e strettamente personali, ravvivando la bella ed emozionante storia, vissuta dal Baiano, che dominò alla grande il torneo 1970\71 promosso ed organizzato dal Comitato zonale del Settore giovanile  della Federcalcio di Nola.

 Era il campionato di “ Lega giovanile”, che faceva da ricambio generazionale per le “prime squadre”, impegnate nei campionati dilettantistici di carattere regionale, come la Palmese, il Nola, il Cicciano, la San Gennarese, il Baiano appunto e tante altre. Era il campionato di “Lega giovanile”, secondo la dizione corrente, ch’era anche un’ingegnosa palestra di creatività e aggregazione sociale per tanti ragazzi, che apprendevano -e praticavano- i fondamentali del calcio, in modo del tutto spontaneo, da auto-didatti, giocando interminabili partite nelle pubbliche piazze, e, nella fattispecie, negli spazi aperti di pertinenza agli ambienti e locali dell’ampia e vasta Casa canonica, in cui si svolgevano le tante attività sociali e culturali dell’ Azione cattolica  “ ’ncopo stradonee Santo Stefano” e dintorni  e al “Bellofatto” che faceva da  prova d’esame obbligata, il cui superamento faceva acquisire il …. patentino di calciatore a tutti gli effetti di rango adeguato, ma  ben distinto   dal “ giocatore di marciapiede” che si “smarriva” nei campi regolamentari, trovandosi  a proprio agio solo negli spazi ristretti, un po’ come quelli dell’attuale “calcetto a cinque”. E il “giocatore di marciapiede” era … di rango inferiore – la classica … schiappa- poco “gradito”  per le partite impegnative.

Quello della foto di gruppo anni ‘70 – scattata quando  furoreggiava il rock progressive e facevano tendenza i capelloni, mentre albeggiavano le magnifiche esperienze artistiche dei musicanti- intesi nella pienezza etimologica di significato che implica la conoscenza della musica, che viene tradotta in limpido linguaggio artistico, quale che sia il genere di riferimento-  artefici e protagonisti della Nuova compagnia  di canto popolare, con Carlo d’Angiò ed Eugenio Bennato in prima linea – era il Baiano, formato da  giocatori nati nella seconda parte degli anni ’50, quando già si cominciavano ad avvertire  e a vivere i segnali del boom economico nell’ Italia  produttiva e fiduciosa di sé che approdava al benessere  e ai consumi di massa.

 I rockettari del Cerbiatto  buoni lavoratori, genitori e … nonni .  La magagna della Barrese

 Era un Baiano rock e super-veloce, che ricordava quello junior dell’annata ’5455, di cui facevano parte,giocatori che hanno lasciato il segno nella storia del Cerbiatto, come Gigino Bellofatto, mediano dallo spiccato senso di posizione e ottimo colpitore di testa,   Peppino De Rosa guizzante ala destra e Saverio Sorice, che spesso andava in gol, segnando direttamente su calcio d’angolo; era un Baiano junior davvero forte, campione regionale della Campania, che, però, dovette rinunciare alle finali interregionali di categoria per il titolo nazionale, in programma a Messina, per le difficoltà economiche in cui venne a trovarsi il Comitato regionale della Figc del tempo. Ma, tornando al Baiano del  ‘71\72,  c’è da dire che era autenticamente  rock, sprigionando  allegria e velocità, assolutamente irresistibile,tanto da sbaragliare senza ostacoli particolari le formazioni avversarie del torneo zonaleacquisendo ilpassaportoper il titolo di campione regionale. Antagonista per la tornata finale, fu  la Barrese, che per assetto societario ed organizzativo … oltre che per l’abile esercizio di magagne,di cui si dirà in seguito, appariva il classico gigante Golia, a petto del quale i ragazzi …. del Cerbiatto si presentavano come la …. trasfigurazione di Davide, presunta vittima sacrificale, ma rivelatisi, alla prova di campo, intrepidi e senza alcun complesso d’inferiorità.

Teatro della “finalissima”, il “Valleverde” di Atripalda. E si giocò alla pari- era una domenica di giugno- da un versante all’altro, bilanciandosi la tecnica di gioco, le disposizioni tattiche e le cariche agonistiche. L’equilibrio si ruppe, però, nel secondo tempo, a favore dei barresi, che andarono a segno con un colpo di fortuna, mentre il tridente d’attacco del Cerbiatto –  con Antonio Lippiello, “ ‘O campanaro” dalla corsa travolgente sulla corsia di destra, Nicola Litto, classe ’56, il baby del gruppo e Filippo Lippiello, “Filippone” che calciava di collo piede con forza e precisione dalla corsia di sinistra- fallì tre occasioni-gol. In realtà, la Barrese,- lo ricorda ancora Nicola Litto, che sarà per oltre dieci anni sarà titolare della prima squadra del Baiano– nel secondo tempo schierò  due giocatori- forse fuori quota anagrafica, che di sicuro, però, non avevano disputato il primo tempo; e non erano  ammessi per regolamento i cambi di “panchina lunga”, come oggi. I “nuovi” più che esperti e freschi di energie, fecero la differenza per la Barrese, ingannando arbitro e segnalinee federali, grazie alle foto sfocate dei “cartellini” identificativi proprio per farne il … doppio uso con tanti saluti alla lealtà sportiva. Ma i rockettari del Cerbiatto avevano dato il meglio di sé. E moralmente erano i veri campioni.

Ed occhio alla foto-color di gruppo, dalla sinistra, chi ha scritto queste righe, Ciciniello Russo, Franco Russo, Antonio Lippiello, Geppino Caviglia, il collodiano  Geppetto centrocampista di ampia falcata, Salvatore Barbati, Filippo Lippiello, “don” Ciro Cavaccini, “tifoso” e dirigente di grande caratura, funzionario della Sedac e dell’Enel,  capitan Salvatore Montuori, con fugace esperienza di docente di Matematica e di amministratore comunale, per diventare dirigente d’Istituto bancario, Alfonso Ibello, coriaceo mediano di spinta, il professore Antonio Crisci, Gerardo Albertini, Mast’e Gerardo, provetto idraulico, altro tifos-super e eccellente dirigente societario, Bruno Napolitano, super-corretto portiere di riserva, Stefano Miele, centrocampista di corsa inesauribile e generosa, di professione docente di Educazione fisica, Giovanni Napolitano, terzino  spazza tutto, Nicola Litto, filtrante e longilineo centravanti che batteva bene a rete,  Ciro Sgambati, rapido terzino di fascia sinistra secondo il modello del milanista Sabadini, Luciano Lippiello, sette polmoni e infaticabile mezz’ala di cucitura tra difensori e attaccanti, ben stimato e cordiale dipendente dell’amministrazione comunale. E chiude lo schieramento Mario Stefano Montella. Nella foto di gruppo, manca Generoso Lippiello, che con i fratelli Antonio –capace di chiudere a doppia  mandata la porta difesa prima per i Bombardieri e la nero-stellata Primavera e poi per il Baiano- e Biagio   forma il trio dei super-tifosi del Cerbiatto  for ever.

 E per i dettagli di cronaca si ricorderà che Miele, Litto e Sgambati saranno  i “punti di forza” del Baiano prima-squadra nella seconda metà degli anni ’70, guidato da Ivo Vetrano, allenatore-giocatore, “rientrato” a quaranta anni nelle file del Cerbiatto, con cui aveva iniziato a quidici ani la carriera sotto l’esperta guida di Ruggero Zanolla, per approdare nei campionati di serie C, B ed A con il Saronno, il Modenae il Varese del presidentissimo Borghi, il patron dell’Ignis, la grande azienda che negli anni ’60 e ‘70 patrocinava anche il ciclismo italiano di alta classe.

La  maglia  indossata da  capitan Montuori e soci è di color rosso che sfuma nel rosaceo. Ma il colore tradizionale del Baiano è il granata simbolo dell’intraprendenza e della tenacia e, in alternativa, l’azzurro placido del Napoli, in virtù del gemellaggio che funzionò alla grande  tra il Cerbiatto e il Ciuccio, specie negli anni del secondo dopoguerra.