ENNIO MORRICONE. “La vita e la musica: rigore e flessibilità.”

ENNIO MORRICONE. La vita e la musica: rigore e flessibilità.

Ennio Morricone è morto. Si tratta del più grande compositore cinematografico italiano contemporaneo, se non mondiale, vincitore di 9 Nastri d’argento e di altrettanti David di Donatello id del Cinquantenario del 2006. L’artista può vantare, a livello internazionale, 6 vittorie ai BAFTA inglesi, 3 Golden Globe, un Grammy Award nel 1988 e il Grammy Trustees Award alla carriera nel 2014, un Polar Music Prize, un Leone d’oro alla Carriera, uno European Film Award (e uno alla carriera nel 1999), un Critics’ Choice Award,  un Oscar alla carriera nel 2007 e un Oscar nella categoria “Miglior colonna sonora” nel 2016. A Los Angeles, il 28 febbraio di 4 anni or sono, si impose la musica di “The hateful eight”, per la regia di Quentin Tarantino, ma nei giorni precedenti era evidente chi sarebbe stato il vincitore nella categoria musicale, così molti si spesero per omaggiare il grande musicista romano. Si concretizzò, ad esempio, un incontro con John Williams e il cineasta di “Pulp Ficton” celebrò il compositore quando gli si dedicò una stella lungo la Walk of Fame ricordando di avere più dischi del maestro anziché di Bob Dylan, Elvis Presley o dei Beatles. L’italo-americano arrivò addirittura a dire che Morricone fosse in assoluto il suo compositore preferito, più di Mozart, Schubert o Beethoven. Era dunque chiaro come fosse finalmente giunto il momento di celebrare un artista in passato sottovalutato oltreoceano, le cui tracce avevano arricchito oltremodo la storia del cinema. Le pellicole di Sergio Leone e di Giuseppe Tornatore sono indissolubilmente legate alle musiche di Morricone, in quanto queste ultime rappresentano un elemento cruciale per il successo delle prime. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, “Uccellacci uccellini”, “La cosa”, “Mission”, “Bugsy”, “Gli intoccabili” sono solo alcuni dei casi in cui altri cineasti hanno colto l’occasione di ingaggiare il musicista appena scomparso per arricchire i propri film con un accompagnamento musicale di prim’ordine. Il momento più alto della carriera del direttore d’orchestra, però, non è stato il 2016, bensì il 2007. L’Accademia americana assegna premi onorari quando vuole riconoscere ad alcuni artisti della decima musa un’importanza che non è stato possibile attribuire loro in un momento ad essi dedicato. Henry Fonda e Paul Newman, ad esempio, ottennero, come Morricone, prima il premio alla carriera e poi quello per la miglior performance nella categoria di competenza. Quella statuetta, insomma, viene assegnata come consolazione allorché il conferimento specifico vada ad altri, nonostante una candidatura scontata. L’idea di base delle mancate vittorie dei plurinominati consiste nella mancanza di quello slancio sublime capace di distinguere la musica da quella delle dirette rivali, senza nulla togliere alla grandezza delle singole tracce. In un momento o nell’altro, però, si verrà sicuramente ricompensati per l’impegno profuso nello spartito. Ennio Morricone ci ha sempre creduto e 13 anni fa utilizzò parole molto importanti quando affermò di avere tra le mani non il simbolo di un punto di arrivo, bensì di un punto di partenza, vedendoci lungo, siccome 9 anni dopo riuscì finalmente a strappare il maggior numero di consensi ai votanti.
Diversi sono i pregi del compositore: negli anni ’60 elaborò della musica applicata avanguardista e le sperimentazioni consistettero, ad esempio, nell’utilizzo di strumenti o di suoni inusuali (chitarre elettriche, armoniche a bocca, scacciapensieri, fischiettii, la natura all’inizio di “C’era una volta il West”). <<Qualsiasi rumore della vita, isolato dal contesto che lo promuove, e messo all’interno di un silenzio, assume un significato che trascende la sua validità realistica e ne assume un’altra che non sappiamo neanche quale>> sono parole spese dall’arrangiatore a Roma, in un convegno tenuto presso il Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1988. Giuseppe Tornatore ha raccontato, alla Festa del Cinema di Roma del 2009, come fosse nata l’idea di fondare il tema di “Baaria” su una nota stonata. La poetica del direttore, infatti, prescindeva dal rigore sinfonico tanto in voga in passato, spingendosi fino a fare uso del sistema atonale, privo di gerarchie e schemi. La capacità di reinventarsi è naturale in artisti tendenti a cercare nuovi stimoli o nuove forme d’arte e la ricerca ha sempre condotto il nostro rappresentate nazionale a traguardi di altissimo livello. Non furono infatti un caso le dichiarazioni espresse nel 1988, laddove egli ci tenne a distinguere la musica composta personalmente da quella di altri autori, reinterpretata secondo il proprio stile e secondo le richieste del regista di turno. Non c’è nulla di male nell’arrangiare le composizioni altrui, ma non le si può spacciare per proprie, soprattutto se si ha sempre voglia di inventare daccapo. Picasso dovrebbe aver detto che “Chi imita è mediocre, il vero genio è chi copia”, ma il primatista dei premi italiani non sarebbe stato d’accordo, appunto per il persistente desiderio di innovarsi e di innovare. Nella medesima occasione il direttore dichiarò: <<La musica dovrà sempre […] concettualizzare i sentimenti e sentimentalizzare i concetti. […]. Se il cinema è falsamente profondo […] la scelta musicale ha il compito di dare verità o restituire realtà a quella falsa profondità. La sua efficacia è legata indissolubilmente alla capacità che il compositore ha di renderla espressiva […] astrattamente profonda, concettualizzando i sentimenti che il film vuole proporre e dai quali il film trae le sue finalità espressive>>. L’artista sintetizzò anni dopo il pensiero: “La musica nel cinema è quello che non si vede e quello che non si dice”. Invece “Quando del chiarimento non c’è bisogno, la musica non ha necessità assoluta di intervenire”.

Come si possono ricondurre allo stesso musicista colonne sonore come quelle scritte per “Il buono, il brutto e il cattivo” e per “La corrispondenza”? Cosa hanno in comune i lungometraggi di Pasolini e quelli di Barry Levinson? Tutti hanno colto un filo conduttore nell’idea sonora di Morricone, cioè uno spirito rievocativo di sensazioni ed emozioni, tipico della poesia. La nostalgia, l’amore, la vendetta e la tensione sono sentimenti umani molto profondi e solo la Musica sa manifestarli con la giusta intensità, in modo da farli provare pure allo spettatore, non necessariamente calato nella stessa situazione rappresentata sullo schermo.
Per  la verità il lavoro di Morricone non si è limitato esclusivamente alla Settima arte, come dimostrato dalle composizioni da Camera del Maestro, per non parlare dell’arrangiamento di brani classici della Canzone leggera italiana (“Se telefonando” – anche composta, “Abbronzatissima”, “Sapore di sale”) o, addirittura, dal suo talento come scacchista. Il genio entrò persino a far parte del “Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza” nel 1964 (1959-1980) col quale mise alla prova la bellezza dell’improvvisazione, della musica contemporanea e di quella popolare.
La fine dell’esistenza terrena del musicista si inserisce in un discorso non troppo diverso da quello esternato nel 2007, perché il compositore è svenuto, cadendo, fratturandosi il femore e perdendo la vita poche settimane dopo. Un infortunio osseo è sempre molto grave per una persona anziana e le ricerche scientifiche non sembrano essere ancora giunte ad un punto di svolta per migliorare le condizioni di vita di coloro i quali subiscono un incidente simile. Un 91enne è condannato a morire per una caduta tutt’altro che letale a 30 o 40 anni? E’ giusto perire così? Nonostante la dipartita sia inevitabile per il genere umano e nonostante di alcuni incidenti non possano essere incolpate altre persone, ci si può interrogare sui modi per superare questa difficoltà al fine di incrementare le aspettative di vita? Perché una persona della terza età è condannata a rischiare per ogni azione svolta? Dovremmo smettere di pensare ad un anziano come ad un vecchio che ha finito di dire qualcosa di interessante. E’ molto irritante seguire interviste nelle quali si chiede ad un soggetto di età avanzata se questi abbia o meno paura della morte, perché si rifiuta l’idea che questi possa contribuire ancora in un qualche modo al progresso di sé e della società. Le esternazioni del 2007 vanno allora interpretate come una diversa considerazione di chi ha vissuto più anni di quelli che andrà a vivere, in quanto costoro potrebbero, come dimostrato da Morricone, ottenere sempre nuovi successi (persino dopo una decade od oltre). Il grande compositore poteva ritenersi soddisfatto 13 anni fa, a 79 anni, ritirandosi dal mondo del Cinema, invece ha proseguito, anche dopo gli 88 anni, allorché ha finalmente conseguito l’ambita statuetta. In questi giorni campeggiano sui giornali le notizie della scomparsa di Morricone, il quale sarebbe morto a 91 anni, giacché è nato il 10 novembre del 1928. La verità, però, è diversa: aveva 92 anni. Una persona, come si suol dire per scherzo nel Sud Italia, quando festeggia un compleanno finisce un anno e ne comincia un altro, così il 10 novembre del 2019 Morricone ha compiuto, terminandoli, i 91 anni e ha vissuto almeno metà del suo 92esimo anno. Sia questo un punto di partenza nella valutazione delle persone: non si tenga conto solo di ciò che hanno fatto, ma anche di ciò che si sta facendo e di ciò che si ha intenzione di fare, perché forse l’uomo è rappresentato dai sogni che ha. Gli obiettivi che ciascuno di noi si pone ci inducono a comportarci in una determinata maniera, dunque viviamo per realizzarli, pur non riuscendovi, ma provandoci, il che è l’anima della vita. Oltretutto oggi è morto qualcuno che ha lavorato con e per la Musica, cioè un’arte, cioè una delle manifestazioni dell’intelletto umano, utili a farci superare la fine dei nostri giorni su questo pianeta. La musica è eterna, così lo è chi l’ha composta e chi l’ha eseguita. Noi potremmo pur essere tristi per la morte di Morricone, ma chi non lo ha personalmente conosciuto può almeno consolarsi sapendo che la sua arte rimarrà sempre lì, a disposizione di chiunque voglia percepirne l’essenza per percepire qualcosa di sé. Umberto Eco pare abbia detto: <<Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni>>. Forse con la Musica vale lo stesso ragionamento, siccome è possibile sentire più emozioni Esenza averle concretamente vissute, poiché l’arte genera nei fruitori empatia verso l’oggetto dell’opera. L’amplificazione dovuta da quelle vibrazioni può arrivare in ogni cuore, in ogni animo, senza barriere e propagarsi in ogni tempo e in ogni luogo e allora buon viaggio nell’aldilà, se esiste, caro Maestro. Le tue note resteranno sempre qui con noi, come le scene da esse sublimate.

Sabato Covone