Flash-back sul dopo-ballottaggi in Campania. I nuovi scenari nel consolidarsi del Centro-Destra e del M5s. Gli affanni del Pd alla ricerca d’identità e la deriva dell’ astensionismo

Flash back sul dopo ballottaggi in Campania. I nuovi scenari nel consolidarsi del  Centro Destra e del  M5s. Gli affanni del Pd alla ricerca d’identità e la deriva dell’ astensionismo

di Gianni Amodeo

Sono stati tredici -domenica scorsa- i Comuni impegnati, in Campania, nella tornata di ballottaggio, per la formazione degli assetti delle rispettive amministrazioni, alcune delle quali sottoposte al regime commissariale delle prefetture di competenza. E l’esito delle urne ha confermato le generali tendenze di profilo nazionale, facendo risaltare quel sostanziale e progressivo cambiamento di scenari che ormai appare decisamente irreversibile e che non si presta affatto alla “lettura” basata, come avviene, su stereotipati e ormai standardizzati parametri  vuoti e privi di aderenza alle problematiche sociali ed economiche che attraversano e segnano in profondità la realtà, soprattutto il Sud; problematiche che richiedono, invece, analisi attente e soluzioni praticabili nell’immediato e nella lunga prospettiva soprattutto sul versante delle politiche per il lavoro produttivo e del superamento delle crescenti diseguaglianze civili con i corollari delle deprivazioni diffuse in atto da un decennio.  Sono criticità capillari, che, di fatto, restano ai margini o del tutto eluse nel più generale dibattito pubblico di esigua caratura culturale, ridotto ai minimi termini e che echeggia  in un circuito mediatico e di comunicazione povero di  idee, stancamente ripetitivo negli argomenti e pervaso di particolarismi segnati da esasperate e disperanti faziosità che nulla prospettano per superare la pesantezza del presente sociale, per aggirarsi nel labirinto delle autoreferenzialità e che non aiutano a far comprendere quali siano gli interessi generali della società su cui concentrare l’agire della politica e del reale senso dello Stato, al di là del “particolare” dei partiti e movimenti.

 In realtà, il vento del cambiamento  ha preso a soffiare intensamente con il voto referendario sulla riforma costituzionale del 4 dicembre del 2016, ribadito con segnali ad ampio ventaglio  nelle successive tornate “regionali” e “comunali” di turno, con l’apice toccato nelle  “politiche” del 4 marzo scorso e l’ulteriore replay dei recenti ballottaggi, con il centro-destra in buon stato di salute, e soprattutto con il Movimento 5 Stelle e la Lega in crescita di consensi e in fase di radicamento nei territori Uno scenario, a fronte del quale si pone il Partito democratico che declina o resiste- a seconda dei punti di vista- con affanno e sofferenza in alcune “isole” della città metropolitana di Napoli, così come accade nell’intero Bel Paese. E’ la condizione, nella quale si dibattono come in un rebus bizzarro e indecifrabile  i democratici, che  continuano a pagare il pesante pedaggio alla ricerca di un’identità che, pur comportando sforzi laboriosi ed estenuanti, non appare chiara né visibile nelle istanze e nei contenuti. E così l’impianto  fondante  del Pd  resta sfumato e indefinito nelle fluide e mutevoli oscillazioni del metaforico pendolo, che, per un verso, conducono a farlo riconoscere nella conclamata e rivendicata matrice di centro-sinistra, e, per l’altro verso, ad immetterlo nell’alveo della configurazione- parimenti affermata ed esibita ai quattro venti- rappresentativa della sinistra, volendo restare nell’ambito delle categorie storiche e ideologiche di stampo novecentesco tout court e senza far leva, pure rilevante nella complessiva valutazione, al pluridecennale sistema di potere gestito, consolidato e manipolato senza sostanziali soluzioni di continuità o quasi- negli ambiti locali, regionali e nazionali come delle strutture del parastato-  dai partiti di riferimento.

 E’ la ricerca d’identità- tra due opzioni distinte per visioni e idealità, talvolta convergenti, che hanno inciso fortemente nella storia politica italiana di oltre mezzo secolo- che  permane e che  potrebbe svilupparsi anche su percorso del tutto nuovo in grado di superare le due configurazioni canoniche, la cui sintesi – palesemente incompiuta e non accolta dal consenso popolare, come avvalora il biennio trascorso scandito da 13  tornate elettorali per i vari livelli di governo territoriali e nazionale- avrebbe dovuto costituire la viva e vitale piattaforma fondante del Partito democratico. Un’operazione incompiuta, di cui potrebbe essere alternativo appunto un percorso “terzo” da elaborare e tutto da costruire con un’ idea forte e strutturata nella contemporaneità  per la valenza del meditato pensiero e dei linguaggi adeguati, sapendo andare oltre le concezioni e le categorie del passato lontane dal presente e che non fanno comprendere le ragioni del cambiamento. E, forse, in questo quadro sono i nodi e le ambiguità che tengono il Pd in condizione di stallo e senza voce, con il rischio di essere relegato ai margini della difficile fase politica nazionale in corso.

LA SVOLTA DI AVELLINO, L’AUTOLESIONISMO  DEM A CASTELLAMMARE. SAN GIUSEPPE VESUVIANO, PRIMO COMUNE DEL SUD A TRAZIONE-LEGA 

Al netto di questi punti di vista, merita di essere focalizzato, però, l’esito dei ballottaggi, in connessione con tre “casi” che possono considerarsi simbolicamente rappresentativi del cambiamento in corso che investe, in particolare, il Pd per tutto ciò che rappresenta e le responsabilità politiche di governo avute ed esercitate tra luci e ombre; “casi” che fanno testo, come si suole dire. Il primo si connette con la svolta radicale e di forte peso impressa ad  Avellino, con l’elezione di Vincenzo Ciampi  per la guida dell’amministrazione comunale. Sostenuto dalla sola lista del Movimento 5 Stelle, Ciampi nel primo turno aveva superato di poco la soglia dei 20 punti in percentuale, a fronte dei poco più dei 40 punti in percentuale, totalizzati dal candidato-sindaco, sostenuto dalla variegata coalizione di sette liste di centro-sinistra e “civiche”- con oltre 200 candidati consiglieri- l’avvocato Nello Pizza. Ma il differenziale del primo turno- pur con la notevole quota di astensionismo penalizzante per gli ambedue aspiranti sindaci, in ogni caso- è stato letteralmente capovolto dal ballottaggio, con il 60% a favore del neo-sindaco Ciampi, che evidentemente ha catalizzato e capitalizzato alla grande il consenso elettorale polarizzato nel primo turno da altri partiti, mentre per Pizza non c’è stato alcun sostanziale miglioramento della quota di consensi su cui si era attestato nel primo turno.

 E’ stato un voto di ampia “unione”, quello “confluito” su Ciampi, con il precipuo scopo di mutare  integralmente gli equilibri del potere  esercitato per oltre mezzo secolo dal notabilato locale- sempre più  arroccato in se stesso e tenace nel perseguire la “conservazione” delle cospicue rendite di posizioni acquisite, incapace di interloquire con i bisogni reali della cittadinanza- grazie al supporto delle maggioranze  assolute o relative ancorate al ruolo  della Democrazia cristiana – con figure che esprimevano una solida caratura culturale prima che politica come Fiorentino Sullo e Ciriaco De Mita – e in alleanza con i partiti del centro-sinistra. Un voto di rottura, anche se  Ciampi sindaco non dispone della maggioranza consiliare, ch’è appannaggio dell’ eterogenea coalizione di centro-sinistra e delle  “civiche” che hanno sostenuto Pizza, eleggendo 18 consiglieri già il 10 giugno. Un ostacolo di notevole spessore, ma Ciampi non a caso ha lanciato l’appello per assicurare all’ Ente di Piazza del Popolo le condizioni di agibilità piena del civico consesso per garantire l’esercizio responsabile dell’amministrazione; un’esortazione diretta ai consiglieri ad interpretare le funzioni loro affidate dal mandato elettorale in ragione degli interessi generali della città, al di là delle posizioni partitiche rappresentate. Un cammino da intraprendere con obiettivi predefiniti e da condividere nella trasparenza maggiore possibile, per evitare le insidie della … “navigazione” a vista, mentre la città ha una forte esigenza di sana e normale amministrazione.

 Il secondo caso s’identifica con  San Giuseppe Vesuviano, città con oltre 30 mila abitanti, con la conferma  per Vincenzo Catapano – al secondo mandato consecutivo nella guida dell’amministrazione- prevalendo con oltre il 70% dei voti sull’altro competitor di centro-destra- versante Forza Italia – rappresentato da Antonio Agostino Ambrosio, già sindaco della città. Un confronto “speciale” interno alla stessa area politica e con esito scontato a favore di Catapano, che aveva già sfiorato l’elezione di conferma nella guida del governo cittadino al primo turno. E alla rinnovata e larga fiducia degli elettori  conferirgli, Catapano ha fatto seguire la novità dell’annuncio della personale adesione e di quella dell’intera maggioranza consiliare appena eletta alla Lega. Una scelta di simbolica valenza, per la quale San Giuseppe Vesuviano è la prima città del Sud amministrata dal Carroccio, ma anche una scelta che il sindaco Catapano– lunga militanza nel Movimento sociale\Destra nazionale e in Alleanza nazionale- colloca nelle ragioni della valorizzazione in loco  della dimensione produttiva della città con prevalente vocazione per il terziario, grazie alle dinamiche di un’imprenditoria operosa che si è fatta largo in ambito regionale e nazionale. Una dimensione che per la neo-maggioranza del governo della città incrocia l’azione politica di cui è interprete e portatore affidabile il partito del Carroccio.

Nella disamina,Castellammare di Stabia costituisce il terzo caso, dalla cui cartina di tornasole viene sedimentato un bel po’ di confusione proprio in casa-Pd. E’ la città, che conta circa 70 mila abitanti, in cui il centro-destra, trainato da Forza Italia, ha imboccato alla meglio la corsia giusta per  approdare alla guida dell’amministrazione, con Gaetano Cimmino – ch’è stato segretario del Pd cittadino- eletto sindaco, senza incontrare particolari difficoltà nell’imporsi nel ballottaggio che l’opponeva ad Andrea Di Martino, vice-sindaco della precedente amministrazione di centro-sinistra,la cui candidatura, a sua volta, era sostenuta da una coalizione di otto liste il cui fulcro era costituito dal Pd  “non-ufficiale”, in quanto non “riconosciuto” secondo le formalità di rito dagli organi del Circolo cittadino dem, e da “civiche”. Il Pd  “ufficiale“, invece, è stato il perno di una coalizione di cinque liste con la vaga pretesa di ispirarsi addirittura all’esperienza di En marche in atto nella Francia di Macron, assicurando il proprio sostegno alla candidatura di sindaco per Massimo De Angelis, già autorevole rappresentante di Forza Italia. E la bocciatura del Pd  “ufficiale” e della coalizione è arrivata al primo turno, con un differenziale di poco più di cento voti rispetto al Pd “non ufficiale”

E va da sé che il Pd ”ufficiale” per il ballottaggio non ha … dato indicazioni di voto a favore dell’ “infedele” Di Martino, concorrendo ad aprire tutte  le corsie praticabili per l’affermazione del centro-destra; corsie già spianate dalle litigiosità e incongruenze interne proprio al Partito democratico, che nel volgere di pochi anni ha esercitato su di sé autentici di autolesionismo, “bruciando” le consiliature apertesi nel 2013 e nel 2016 – di cui pure era componente maggioritaria- e concluse con crisi senza ritorno, “liquidando” senza difficoltà e scrupoli le esperienze politico-amministrative di Nicola Cuomo e Antonio Pannullo  sindaci dimezzati. E’ il quadro che prospetta l’avvitamento a doppia spirale su se stessi e sulle loro chiusure particolaristiche, con cui i democratici  sono finiti fuori-strada, subendo un pesante scacco nella città,in cui per decenni a palazzo Farnese si sono susseguite, in larga prevalenza, maggioranze consiliari di sinistra, sinistra-centro e centro-sinistra.

E se quella di Castellammare di Stabia è la plastica rappresentazione del “suicidio” politico con cui il Pd si è “chiamato” fuori dalla città e dai suoi problemi, un’altra città di costa- Torre del Greco con 85 mila abitanti- si segnala per il primato dell’astensionismo, toccando lo sprofondo del circa  25% dei votanti rispetto agli oltre 70 mila aventi diritto. Sindaco eletto è  Giovanni Palomba, sostenuto da una coalizione di centro-sinistra, che ha prevalso sul candidato-sindaco Vincenzo Mele, sostenuto da una coalizione di liste civiche di centro-destra. Palomba è espressione del poco più del 60 % dei voti espressi che formano poco meno di un quarto degli abitanti della città. E la pesantezza dell’astensionismo registrato nella città corallina si rapporta alla generale quota di astensioni che in Campania s’è fermata sui 42 punti di percentuale. Se non è una deriva, certamente ne è l’anticamera, se la politica non recupera il suo ruolo rinnovandosi in profondità negli uomini e nell’elaborazione culturale. Non esistono uomini per tutte le stagioni.

Dettaglio di cronaca: sulle elezioni della città corallina incomberebbe la spada di Damocle di un’inchiesta giudiziaria della Procura della Repubblica di Torre Annunziata. Alla base del possibile procedimento l’ipotesi di voto di scambio, di cui sarebbero stati beneficiari due candidati-consiglieri della coalizione vincente al ballottaggio, favorendo l’assunzione part-time di alcune decine di netturbini. Un’ipotesi che se confermata renderebbe nullo il … ballottaggio, già di valenza minima per l’astensionismo praticato dai cittadini.