Giorgia, morta a 21 anni: suo il viso del primo trapianto di faccia. Il padre: «Non c’è mai una fine»

Giorgia, morta a 21 anni: suo il viso del primo trapianto di faccia. Il padre: «Non cè mai una fine»

«Non c’è eroismo. La gente si stupisce ancora per la donazione degli organi ma è solo un gesto di generosità e carità cristiana. Giorgia non è un’eroina, era una ragazza semplice, che aveva voglia di vivere e che ha dato il massimo a chiunque l’ha incontrata. Questo è stato il risultato».

È commosso papà Romolo sul sagrato della Basilica di San Lorenzo fuori le mura dove ieri mattina si sono celebrati i funerali della figlia, Giorgia, la 21enne che ha donato i tessuti del viso per far in modo che si realizzasse, la scorsa settimana all’ospedale Sant’Andrea, il primo trapianto di volto su una donna affetta da Neufibromatosi di tipo 1. Purtroppo la signora di 49 anni, che ha ricevuto l’organo di Giorgia, ha avuto un rigetto ma la famiglia non rinnega quell’atto d’amore.

Signor Romolo, sua figlia era una ballerina, cosa sognava per il futuro?
«Di continuare a danzare. Aveva tre anni quando ha iniziato così su una spiaggia della Sardegna. C’era questa bambina che giocava con il secchiello e che poi, sentendo la musica, si è alzata di scatto. Sulla prima canzone è rimasta ferma, noi eravamo lì che la guardavamo. Poi ha iniziato a ballare e da allora non si è più fermata. Fino alla notte del 16 settembre scorso quando ha avuto l’incidente».

Come avete vissuto questa donazione?
«In famiglia abbiamo sempre pensato che non ci fosse davvero mai una fine, quindi abbiamo creduto che se puoi effettivamente essere ancora utile, allora perché no? Nostra figlia ci ha preso in parola».

Come siete arrivati alla decisione di donare gli organi di Giorgia?
«È stata lei a indicarcelo. Ha vissuto un paio di anni negli Stati Uniti, mia figlia era una ballerina e ha studiato alla Princeton ballet school, si era iscritta anche all’università dove studiava Scienze motorie. Doveva rinnovare il passaporto ma per velocizzare i tempi, poiché doveva viaggiare in Europa, ha rifatto la carta d’identità optando per la donazione degli organi e quindi l’abbiamo chiesto ai medici».

E per quanto riguarda i tessuti del volto?
«I sanitari del Sant’Andrea, che hanno dato prova di grande umanità ed equilibrio, ci hanno informato che c’era questa ulteriore situazione che poteva far partire qualcosa di importante e aiutare qualcuno. Ci siamo riservati alcuni momenti per pensare e poi abbiamo detto sì, non perché il mondo lo sapesse ma perché era un modo per continuare a far vivere nostra figlia».

A molti genitori l’espianto di un volto avrebbe potuto provocare un trauma ulteriore, voi come l’avete vissuto?
«C’è molta ignoranza, sono state diffuse notizie come se ci fosse stato uno scambio di identità. Non c’è stato questo. Purtroppo per la signora l’intervento non è andato e questo ci è molto dispiaciuto. È stato però un modo per provare a salvare una vita. Siamo convinti che salvare qualcuno non significa dare solo un organo vitale: si può continuare ad aiutare a vivere in molti altri modi. Quando abbiamo capito che anche questo passaggio andava in questa direzione, come atto di generosità, abbiamo acconsentito con la stessa carità delle altre donazioni».

Per voi, dunque, è stato un gesto normale?
«Sì, forse per il mondo no. E dobbiamo rialzare il livello delle coscienze non solo dei singoli. La vita è fatta di inconsapevolezza. Una tragedia del genere, come l’incidente di Giorgia, si sarebbe potuta evitare ma la vita va vissuta e noi speriamo di infondere questo messaggio. Per tutta una vita abbiamo temuto la telefonata di notte e poi quella telefonata è purtroppo arrivata. Ma non si deve rinunciare a vivere e se riusciamo nel nostro piccolo a diffondere questo messaggio nulla sarà vanificato».