Il boss che stava per essere aggredito spara da casa sua ed uccide: condanna annullata dalla Cassazione.

Il boss che stava per essere aggredito spara da casa sua ed uccide: condanna annullata dalla Cassazione.

Cancellata a sorpresa la sentenza di condanna di anni 20 per l’omicidio di Polese Carlo avvenuto ad Ercolano il 19.08.2003.

La Suprema Corte di Cassazione, I sezione penale, in totale accoglimento del ricorso proposto dall’avvocato Dario Vannetiello, ha cassato in toto la sentenza di condanna emessa in data 23.02.18 dalla Corte di Assise di Appello – seconda sezione penale – relativa ad omicidio di camorra, avvenuto nel pieno della annosa faida tra il clan Ascione- Papale ed il clan Birra – Iacomino, scontri violenti avvenuti ad Ercolano, cittadina famosa per gli scavi archeologici di epoca romana, insanguinata dalla faida tra i clan che si contendono il controllo del ridente territorio.

Gli elementi di prova a carico dell’accusato Giorgio Di Bartolomeo – genero dello storico capoclan Ascione ed in passato già condannato per essere stato il reggente della consorteria camorristica – sembravano di notevole spessore ed insuperabili, atteso che vi erano un numero impressionante di collaboratori di giustizia, ben tredici, tutti convergenti nell’ accusarlo di essere stato l’ esecutore materiale del delitto.

A fronte di prove schiaccianti, l’avv. Dario Vannetiello del Foro di Napoli si è rifugiato in cavilli procedurali, nonché ha sostenuto la invocabilità della legittima difesa domiciliare, trovandosi il boss, al momento dell’omicidio, presso la privata abitazione familiare in compagnia della giovane moglie.

Va rilevato che la reazione a cui seguì l’ omicidio, però, non fu commessa per scongiurare una rapina o un furto, ma per far fuoco contro elementi del clan avverso prossimi ad entrare in casa con l’intento di eliminare il boss.

Seppur ancora non sono note le motivazioni, la decisione assunta dalla Suprema Corte potrà essere un faro nella giurisprudenza, essendo il tema della legittima difesa attualissimo, anche alla luce della riforma tanto agognata dalla Lega.

È la prima decisione adottata dalla Suprema Corte sul tema della legittima difesa all’indomani della intervenuta riforma, decisione indubbiamente destinata ad alimentare ulteriori e caldi dibattiti.

Una delle questioni di diritto tra le più interessanti affrontate nel ricorso di cui si discorre è il seguente: per invocare la legittima difesa è necessario essere titolari del porto d’armi ?

Sul punto il penalista Dario Vannetiello ha sostenuto che la causa di giustificazione della legittima difesa è applicabile anche nell’ipotesi di detenzione abusiva di armi. Ragionando diversamente, si verrebbe a sostenere che hanno diritto a cautelare la propria incolumità personale con un’arma solo gli incensurati e le persone dabbene.

Mentre tale possibilità verrebbe preclusa a chi si trovasse in condizioni di marginalità sociale, come nel caso di specie, nonostante nell’ambiente al margine della legalità in cui il ricorrente viveva l’omicidio con armi da fuoco costituisse regola sociale di costante applicazione.

La linea difensiva ha comunque finito per convincere i Giudici capitolini, nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto il rigetto del ricorso alla luce della sussistenza di un quadro accusatorio che sembrava solidissimo, sorretto dalle dichiarazioni di tredici collaboratori di giustizia che pero alla fine sono stati disintegrati dalle penetranti deduzioni difensive.

Dovrà ora attendersi il deposito delle motivazioni da parte della Suprema Corte al fine di comprendere quali tra le tante critiche sollevate dalla difesa alla sentenza di condanna ha fatto breccia, incrinato il castello accusatorio e portato al clamoroso annullamento.

Un dato è certo: è una sentenza che farà discutere a lungo, dentro e fuori i Palazzi di Giustizia.