Niente carcere fino a 4 anni di pena, ecco un nuovo svuotacarceri

Niente carcere fino a 4 anni di pena, ecco un nuovo svuotacarceri

Si allarga per i detenuti la possibilità di accedere alla misure alternative al carcere. Potrà fruire di questa opportunità anche chi ha un residuo di pena fino a quattro anni, sempre tramite la valutazione del magistrato di sorveglianza. E in ogni caso questa possibilità non si estende ai detenuti al 41bis per reati di mafia e quelli per reati di terrorismo. E’ la principale previsione contenuta nel decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario approvato ieri in secondo esame preliminare dal consiglio dei ministri. «Il provvedimento che abbiamo approvato non è uno svuotacarceri né un salvaladri”, ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, spiegando che il testo è stato varato senza le modifiche sostanziali chieste in commissione al Senato, ma con modifiche di piccola entità. Per questo il testo dovrà avere un altro passaggio presso le commissioni parlamentari prima di essere definitivamente varato. A occuparsene potrebbero essere le commissioni speciali che saranno istituite per vagliare i provvedimenti urgenti in attesa della formazione di quelle definitive, ma su questo deciderà, ha detto Orlando, il ministro per i rapporti con il parlamento. «Qualcuno”, ha aggiunto il guardasigilli, “tenterà di cavalcare paure. Ma da domani non uscirà nessuno dal carcere, da domani un giudice potrà valutare il comportamento del detenuto e ammetterlo a misure che gli consentono di restituire qualcosa di quello che ha tolto alla società». Il dlgs di “Riforma dell’ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), b), c), d), e), f), h), i), l), m), o), r), s), t), e u) della legge 23 giugno 2017, n. 103”, questo il titolo per esteso, introduce disposizioni volte a riformare l’ordinamento penitenziario. Ha principalmente l’obiettivo di renderlo più attuale (la disciplina è del 1975) per adeguarlo ai successivi orientamenti della giurisprudenza di Corte costituzionale, Cassazione e Corti europee, e mira, in particolare, a: ridurre il ricorso al carcere in favore di soluzioni che riportino al centro del sistema la finalità rieducativa della pena indicata dall’art. 27 della Costituzione; razionalizzare le attività degli uffici preposti alla gestione del settore penitenziario; diminuire il sovraffollamento, sia assegnando formalmente la priorità del sistema penitenziario italiano alle misure alternative al carcere, sia potenziando il trattamento del detenuto e il suo reinserimento sociale in modo da arginare il fenomeno della recidiva; valorizzare il ruolo della Polizia Penitenziaria, ampliando lo spettro delle sue competenze. Il decreto è suddiviso in 6 parti, corrispondenti ad altrettanti capi, dedicate alla riforma dell’assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti, all’eliminazione di automatismi e preclusioni nel trattamento penitenziario, alle misure alternative, al volontariato e alla vita penitenziaria. La riforma dell’ordinamento penitenziario «serve ad abbattere la recidiva», ha dichiarato Orlando. «Attualmente vengono spesi ogni anno quasi tre miliardi di euro per l’esecuzione penale, eppure abbiamo il tasso di recidiva più alto d’Europa». Per chi espia la pena in carcere vi è recidiva nel 60,4% dei casi, mentre per coloro che hanno fruito di misure alternative alla detenzione il tasso di recidiva è del 19%, ridotto all’l% per quelli che sono stati inseriti nel circuito produttivo.