NOLA. Il ’48 che brucia. Come le istituzioni lassiste “cancellano” un patrimonio storico e architettonico

NOLA. Il ’48 che brucia. Come le istituzioni lassiste “cancellano” un patrimonio storico e architettonico

Il degrado e l’abbandono degli ultimi 15 anni segnano lo svilimento del pregevole ed eccellente recupero degli “interni” della mega-struttura realizzato con investimenti statali per dieci milioni di euro. Un efficace piano di ripristino funzionale per un intelligente programma di buona amministrazione pubblica, con l’obiettivo di allestire nel settecentesco complesso progettato dal fuga un’ efficiente “cittadella giudiziaria”, allocandovi anche i presidi della polizia di stato e le compagnie dei carabinieri che della guardia di finanza da anni dislocati in strutture di proprieta’ privata con pesanti oneri per i canoni di fitto da versare. Obiettivo che, stando la situazione esistente, e’ ormai un’ipotesi svanita.

di Gianni Amodeo

E’ varia e corposa la casistica dell’autolesionismo e delle negligenze, con spreco di denaro pubblico, in cui incappa sempre più spesso la pubblica amministrazione, sia nelle sue articolazioni statali sui territori che in quelle delle istituzioni territoriali, con vistose e gravi corresponsabilità. La vicenda del ’48 vi si colloca con un “di più” speciale per le modalità, con cui si è venuta intessendo, ad iniziare una ventina di venti anni fa, quando sembrava che il vasto complesso architettonico con funzioni di presidio militare di alta efficienza, realizzato ‘700 dall’amministrazione borbonica con progettazione del Fuga, potesse essere restituito ad un reale ruolo di sociale utilità. Era il ruolo, ritrovato dopo oltre mezzo secolo di incuria e abbandono da cui era stato profondamente sfigurato nella gran parte dell’imponente mole che lo connotava come autentica “Cittadella militare” in grado di ospitare fino a 1500 soldati di truppa, con la punta di diamante costituita dal rinomato reggimento di cavalleria, di cui le cronache degli anni ’20 e ‘30 raccontano festose ed emozionanti parate e spettacolari caroselli nella prospiciente piazza d’Armi. Una “Cittadella” dissoltasi il 10 settembre del ’43 con l’eccidio dei 10 ufficiali dell’Esercito italiano che fu consumata con cinica crudeltà proprio nel ’48. Fu la prima strage compiuta in Italia per rappresaglia dalle truppe naziste in ritirata, che sottoposero il presidio a martellanti cannoneggiamenti, che non compromisero la solidità statica dell’impianto strutturale.

IL MAGNIFICO RESTAURO DEGLIINTERNI”. LE VOLTE RIPRISTINATE CON DUE MILIONI DI PIETRE TUFACEE

La dimensione di ruolo ritrovato era affidata al programma di interventi per il restauro dell’intera megastruttura, per recuperarne al meglio la funzionalità per pubblica utilità, essendo parte integrante del demanio statale e titolo patrimoniale in capo al Ministero della Difesa. Un’operazione di impegnativo profilo, con un finanziamento pari a dieci milioni di euro che coinvolse la competente Soprintendenza di Napoli, mentre la progettazione fu affidata al Dipartimento della Facoltà d’Ingegneria della Federico II, con la direzione dell’attuale Rettore dell’Ateneo, il professore Gaetano Manfredi. Ed in questo contesto maturò la scelta programmatica dell’amministrazione comunale pro tempore- guidata dal sindaco Franco Ambrosio– di trasformare quella ch’era stata per oltre due secoli una “Cittadella militare” in “Cittadella giudiziaria”, accorpando tutti gli uffici di amministrazione della giustizia, ma anche i presidi delle Compagnie dei carabinieri e delle “Fiamme gialle”, oltre che della Polizia di Stato.

 Un obiettivo intelligente di buona amministrazione, va riconosciuto, che non soltanto favoriva la migliore operatività possibile per le sinergie degli uffici giudiziari e dei presidi delle forze dell’ordine pubblico, ma “liberava” anche l’amministrazione statale dagli notevoli oneri economici per i canoni di fitto che versa da anni per le sedi delle Compagnie delle forze dell’ordine pubblico e della Polizia di Stato, tutte allocate in immobili di proprietà privata. Il programma di restauro fu realizzato per la gran parte degli “interni” della mega-struttura, incluso il ripristino dell’ingegnoso sistema idraulico a flusso continuo per l’abbeveratoio circolare dei cavalli. Straordinari in particolare sia il recupero che il riassetto integrale del sistema delle volte, restituite all’originario prospetto del progetto del Fuga, con l’utilizzo di ben due milioni di pietre tufacee – estratte dalle cave di Pianura– squadrate e sistemate alla perfezione come tessere di mosaico, grazie al lavoro del personale altamente specializzato.

Le condizioni di base, per rimettere in sesto, il ‘48 c’erano ormai tutte. Ma quello che sembrava un cammino in discesa è diventato una decina di anni fa un cammino in salita irta e impossibile, per la mancanza dei finanziamenti necessari a completare il programma del ripristino integrale della funzionalità del mega-complesso. E gli interventi ancora da realizzare sono relativi soprattutto ai sistemi tecnologici, al riassetto dei prospetti esterni, al riordino e agli arredi degli ambienti, e ad altro ancora. Una serie di interventi, che, secondo le stime fatte in coincidenza con lo stop al cantiere, poteva essere realizzata con investimenti economici per altri dieci milioni di euro, difficili da reperire in tempi di razionalizzazione della spesa pubblica. Così l’opera è restata la “grande incompiuta”, monumento di se stessa, come corpo estraneo alla città. Il massimo sconcerto deriva, però, dal fatto che al restauro degli “interni” della mega-struttura non è stata dedicata alcuna forma di custodia e sorveglianza.    E così, tutto è ritornato allo stato pregresso dell’abbandono e del degrado, con lo “straordinario” risultato di svilire e vanificare la stessa importanza del restauro finora attuato grazie al considerevole investimento di risorse economiche fatto, mentre l’ipotizzata “Cittadella giudiziaria” appare ormai un treno dell’Alta velocità…svanito senza sostare nei paraggi cittadini.

Aspetto singolare dello scenario tratteggiato è che della perdurante ’” esistenza” del ’48, la città bruniana ha dovuto rendersi consapevole per la sequenza dei quattro incendi che la scorsa settimana hanno devastato l’ala d’angolo che si affaccia su via Minichini e, parzialmente, su piazza d’Armi. Una successione di episodi incendiari di elevata distruttività per quello ch’è diventato in questi anni il rifugio di un’umanità povera, mendicante, senza fissa dimora, ma anche di tossicodipendenti e possibili giri di prostituzione. Un cupo e squallido microcosmo di persone smarrite e reiette. E le istituzioni locali, includendo il Piano sociale di zona, l’Asl, la polizia municipale sono chiamate ad operare con azioni coordinate e mirate, per far ritrovare loro la dignità civile perduta. Così come sono di primaria rilevanza le ragioni della sicurezza urbana da garantire ai cittadini; sicurezza, che per i residenti del quartiere attraversato da via Minichini negli ultimi tempi continua ad essere negata, senza dire dell’inquinamento atmosferico prodotto dagli incendi, compromettendo ancora di più la qualità di vita dell’intera area.

Una brutta storia, quella del restauro “interrotto a metà” e quella degli incendi del ‘48, quale che sia il verso con cui la si “legga”. Non onora la città, mentre la politica resta adagiata e nell’amorfo limbo della… latitanza. Nulla dire, nulla fare e così si evitano …le responsabilità di scelta per il bene comune.