SANT’Oggi. Mercoledì 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme e beata Kateri Tekakwitha

SANT’Oggi. Mercoledì 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme e beata Kateri Tekakwitha

SANT’Oggi. Mercoledì 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme e beata Kateri Tekakwithaa cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme, nacque a Troyes (Francia) intorno al 1024, da una nobile famiglia. La vocazione arrivò dopo una carestia che aveva colpito quella regione della Francia, Roberto rimase folgorato dal modo in cui i monaci donavano tutto quello che avevano, arrivando alcune volte fino alla morte per stenti. Aveva solo 15 anni, nel 1043 quando iniziò il noviziato nell’abbazia benedettina di Montier-la-Celle, non lontano da Troyes, dove divenne un modello per gli altri monaci che, pieni di stima nei suoi confronti, lo vollero, nel 1053, quale loro priore. Nel 1068 fu eletto abate dell’abbazia di Saint-Michel, un’abbazia di osservanza cluniacense. Roberto tentò di riportare i monaci alla piena osservanza della regola, scontrandosi però con l’irrigidimento e l’ostinazione di molti suoi monaci. SANT’Oggi. Mercoledì 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme e beata Kateri TekakwithaAccertato con tristezza l’inutilità dei suoi sforzi, abbandonò il monastero per ritornare nuovamente a Montier-la-Celle come semplice monaco. La permanenza nell’abbazia fu breve, poiché nel 1072 fu fatto priore a Saint-Ayoul, un priorato dipendente dall’abbazia di Montier-le-Celle. Anche qui trovò difficoltà e dovette lasciare presto. Infatti poco dopo, nel 1074, si ritirò con alcuni eremiti nella foresta di Collan. Con questi eremiti decise di fondare un monastero a Molesme nel dicembre 1075, dopo aver ottenuto l’autorizzazione da papa Gregorio VII e la donazione di un terreno ben adatto da parte di Ugo di Maligny. Eletto abate, scelse per i suoi monaci la regola benedettina ed essi presero a servire Dio con ardore incredibile. Roberto era più portato per la rigida vita eremitica piuttosto che per la vita monastica cluniacense, ispirato forse anche dalla conoscenza della vita dei Padri del deserto, il monastero di Molesme aveva queste caratteristiche cioè essere in equilibrio tra l’osservanza cluniacense e la vita eremitica. Nel 1090 Roberto, non soddisfatto dallo stile di vita che si era lentamente instaurato, impossibilitato a riportare la comunità monastica all’osservanza della regola, si staccò da Molesme desiderando una vita ancora più simile agli eremiti. Infatti si unì ad Aux presso Riel-les-Eaux ad un gruppo di anacoreti. I monaci di Molesme dopo poco tempo lo reclamarono come loro abate, poiché si erano accorti che non potevano fare a meno delle capacità di guida di Roberto. Egli tornò a Molesme. Per un anno i monaci sopportarono l’abate, ma questa disposizione non durò. Nuovamente Roberto preferì ritirarsi a vita solitaria, questa volta in compagnia di sant’Alberico, santo Stefano Harding ed altri due monaci che non tolleravano il lassismo con cui la regola benedettina veniva interpretata ed applicata. Roberto ed i suoi compagni preferirono edificare una nuova abbazia in cui poter osservare la regola benedettina senza dispensa alcuna. Il luogo scelto per la fondazione dell’abbazia fu Cîteaux, località deserta presso Digione nel territorio della diocesi di Chalon-sur-Saône. Il terreno paludoso facente parte di una foresta, fu donato dal cugino visconte Rainald di Beaune. Roberto fu eletto abate all’unanimità dai confratelli. I monaci di Molesme tentarono ancora di riavere il loro fondatore, ricorsero quindi a papa Urbano II, il quale delegò le trattative all’arcivescovo di Lione che ritenendo la comunità di Cîteaux già consolidata, ordinò a Roberto di ritornare, questi obbedì, non prima di aver designato Alberico suo successore come abate e quale priore Stefano Harding, tornò a Molesme nell’estate del 1099, dove rimase come abate fino alla sua morte. Morì il 17 aprile 1111, a 83 anni.
SANT’Oggi. Mercoledì 17 aprile la chiesa ricorda san Roberto di Molesme e beata Kateri Tekakwitha17 aprile: beata Kateri Tekakwitha (al secolo Gah-Dah-Li Degh-Agh-Widtha), nacque ad Osserneon (Stati Uniti d’America) nel 1656, da genitori di due etnie diverse, il padre irochese pagano e la madre algonchina cristiana, rimase orfana di padre e di madre a quattro anni, nel 1660, in seguito ad un’epidemia di vaiolo, rimanendone essa stessa sfigurata in volto e una grave menomazione alla vista, segni che le procurarono una vita sociale difficile fra la sua gente. Rimasta ben presto orfana fu adottata da uno zio che era un capo clan, che non aveva figli, con l’incarico di aiutare la moglie nel governo della casa, il suo nome Tekakwitha le fu dato perché significa “colei che mette le cose in ordine”. Ben presto però venne derisa dalla famiglia adottiva per la sua fede, e per questo veniva bastonata e minacciata. Come figlia adottiva del capo, ricevette presto moltissime proposte di matrimonio, nonostante i segni del vaiolo. Rendendosi conto che tali proposte erano dovute a motivi politici e sociali le rifiutò sempre, mostrandosi sdegnata all’idea di sposarsi e arrivando a fuggire, presso la missione di Sault-Saint-Louis dei padri gesuiti che era appena stata fondata a Kahnawake (Canada), quando lo zio tentò di darla in sposa ad un giovane guerriero. La conoscenza e la religione che professavano i padri missionari, affascinarono la giovane al punto che circa un anno dopo ricevette nel giorno di Pasqua, 18 aprile 1676, il Battesimo, dal padre gesuita Jacques de Lamberville, e le fu imposto il nome di Kateri (Caterina). Per sfuggire alle ire dello zio pagano, e dei membri del suo villaggio ovviamente la condannarono incapaci di comprenderla, dovette riparare nella Missione di San Francesco Saverio a Sault presso Montreal, dove trascorse il resto della vita, dedicandosi al lavoro e alla preghiera. Senza trascurare le funzioni religiose e gli obblighi verso la famiglia che l’ospitava, Kateri si isolava spesso nella foresta a pregare, recitava il santo Rosario al mattino nel grande freddo del Canada, girando intorno alla propria campagna coltivata a mais, completando le sue orazioni nella piccola cappella del villaggio. Il 25 marzo 1679 si consacrò a Gesù, rifiutando di sposarsi e vivendo secondo il modello religioso, cioè fece voto di perpetua verginità. La sua salute non resse a lungo, stremata dalle dure penitenze che ne avevano minato la già gracile salute, morì pronunciando le parole «Jesos Konoronkwa» (Gesù ti amo). Secondo la tradizione, pochi minuti dopo, miracolosamente, il suo volto brillò e i segni del vaiolo sparirono, rivelando un volto bellissimo. Morì il 17 aprile 1680, a 24 anni; patrona dell’ecologia.