SANT’Oggi. Mercoledì 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio e san Pietro Nolasco

SANT’Oggi. Mercoledì 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio e san Pietro Nolasco

SANT’Oggi. Mercoledì 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio e san Pietro Nolascoa cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio, nacque a San Giovanni di Riva (Torino) il 2 aprile 1842, da un’umile famiglia fervorosamente religiosa. Oltre che per la religiosità, si distinse per il profitto. Poiché era di gracile costituzione fisica, e quindi inadatto ai lavori manuali, i genitori decisero di fargli continuare gli studi. Due anni dopo, per motivi di lavoro, la famiglia si trasferì a Murialdo, a poca distanza da Castelnuovo d’Asti, paese natale di san Giovanni Bosco. L’incontro tra i due santi avvenne nel cortile della casetta dei SANT’Oggi. Mercoledì 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio e san Pietro NolascoBecchi il 2 ottobre 1854. Poche settimane dopo, il 22 ottobre, il giovane approdava all’oratorio di Valdocco (Torino), dove venivano raccolti ragazzi di famiglia povera: chi non mostrava grandi attitudini era avviato a imparare un mestiere, gli altri potevano frequentare la scuola di latino per essere eventualmente destinati al sacerdozio. Domenico fece parte di questo secondo gruppo. Negli studi e nella vita di relazione con i compagni, tanto a scuola quanto nell’oratorio, si segnalò per la sua condotta esemplare, ma, soprattutto per l’assiduità ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia e per la devozione all’Immacolata Concezione (il cui dogma fu proclamato da papa Pio IX l’8 dicembre 1854). Don Bosco gli indicò la “ricetta” giusta per la santità: allegria, osservare i doveri di studio e di preghiera, far del bene agli altri. Da quel momento fino alla morte Domenico si sforzò di essere esemplare in tutto: si notavano in lui una pietà profonda unita a una serena allegria; e un impegno speciale per venire in aiuto ai compagni, magari giocando con uno che era trascurato dagli altri, facendo ripetizione a chi ne aveva bisogno, o assistendo quelli malati. Circa un anno dopo, Domenico ebbe un’idea, formare un gruppo di ragazzi per far del bene insieme, società che chiamò Compagnia dell’Immacolata e che fu subito approvata da don Bosco. Nell’estate del 1856 scoppiò un’epidemia di colera, e don Bosco radunò 44 giovani per soccorrere gli ammalati. Domenico si distinse fra i volontari, non riportando, come promesso da don Bosco alcun danno. Intanto, però, verso la fine del 1856 la sua salute cominciò a dare seri problemi. Nel febbraio 1857 cominciò a tormentarlo una tosse insistente mista a febbre. Allora, purtroppo, non c’erano gli antibiotici, per l’oscura malattia, e queste forme spesso erano letali. Tornato a Valdocco nell’autunno 1856 per frequentare il IV ginnasio, alla fine del febbraio seguente la malattia aveva fatto ancora progressi, tanto da consigliare il suo ritorno in famiglia a Mondonio. Domenico si mise a letto il 4 marzo e in soli cinque giorni una grave polmonite lo stroncò. Morì il 9 marzo 1857, a 15 anni, fra le braccia dei genitori; patrono dei ministranti.
SANT’Oggi. Mercoledì 6 maggio la chiesa festeggia san Domenico Savio e san Pietro Nolasco6 maggio: san Pietro Nolasco, nacque a Mas Saintes Puelles (Francia) nel 1189 circa, da nobile famiglia di commercianti. A 15 anni perse il padre e fu quindi educato dalla madre devota che incoraggiò la sua determinazione di dedicare la propria vita al servizio di Dio, dedito alla devozione, all’elemosina e alla carità. Nell’esercizio della sua attività di commerciante scopre la schiavitù dei cristiani in terra mussulmana. All’epoca circa la metà della Penisola Iberica era sotto il dominio musulmano, e diverse centinaia di abitanti cristiani venivano catturati e condotti in schiavitù nei Paesi arabi, dov’erano costretti a lavorare presso i notabili ed i proprietari terrieri. Molti di essi venivano indotti a ripudiare la religione cristiana. Da allora, dedicherà la sua vita e utilizzerà i suoi beni per restituire ad essi la libertà. Già in questo si manifesta la sua prossima missione carismatica nella chiesa e nella società. Mosso a compassione dalla sofferenza degli schiavi, radunò alcuni suoi compagni che, facendoli partecipi delle sue inquietudini, con un distacco giovanile ammirevole, si spogliarono dei propri beni donandoli tutti per la redenzione. La professione di mercante di Pietro fu di grande utilità per questo gruppo di redentori in questo primo periodo, poiché i mercanti avevano facile accesso ai paesi mussulmani, erano conosciuti e, durante secoli, essi furono quasi gli unici intermediari per il riscatto dei cristiani in terra di mori e dei mori in terra di cristiani. Questo gruppo di compagni di Pietro era formato solo da laici che, “avevano gran devozione a Cristo”. Questo indica la caratteristica della spiritualità del gruppo: la devozione e la sequela di Cristo Redentore. Dopo 15 anni di ammirevole attività nella redenzione dei cristiani schiavi, Pietro e i suoi compagni vedevano con preoccupazione che, giorno dopo giorno, aumentava il numero degli schiavi. Pietro nella sua preghiera cercò l’ispirazione divina per poter continuare l’opera di Dio iniziata in lui. La notte del 1 e 2 agosto 1218, avvenne un intervento di Maria Santissima nella vita di Pietro, che illuminò la sua intelligenza per trasformare il suo gruppo di laici redentori in un Ordine religioso redentore. Pietro così decise di fondare un’ordine religioso simile a quello fondato alcuni decenni prima da san Giovanni de Matha e san Felice di Valois, il cui obiettivo principale fu la redenzione degli schiavi cristiani. Il 10 agosto 1218, fondò l’Ordine di Santa Maria della Mercede (merdedari) e fu solennemente approvato da papa Gregorio IX nel 1230. I suoi membri erano legati dalla novità che Pietro introdusse nella sua opera redentrice che era la raccolta delle elemosine tra i fedeli cristiani con il fine di portarle nella terra dei mori per riscattare i cristiani schiavi che si trovano in loro potere. Ogni frate, in forza della sua professione, si convertiva in un autentico elemosiniere della redenzione; e dove non c’erano frati, costituiva confraternite, convocava i fedeli riunendoli nella Confraternita della elemosina degli schiavi. Quando veniva meno il denaro, il redentore era obbligato a darsi in ostaggio e esposto a dar la vita allo scopo di liberare lo schiavo. All’inizio i membri erano laici come Pietro stesso, ma papa Clemente V decretò che il maestro generale dell’ordine dovesse sempre essere un prete. Morì a Barcellona (Spagna) il 25 dicembre 1256.