SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunato

SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunato

SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunato
a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce (al secolo Juan de Yepes Álvarez), nacque a Fontiveros (Spagna) il 24 giugno 1542. Il padre Gonzalo de Yepes, nobile di Toledo, fu cacciato di casa e diseredato per aver sposato una povera tessitrice di seta, Catalina Álvarez. Egli manifestò fin da piccolo inclinazione alla carità verso i poveri e ancora di più verso la preghiera contemplativa. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a 9 anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore del convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infermiere SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunatonell’Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò a 18 anni e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva chiara la propria vocazione: si sentì chiamato al Carmelo. Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso l’Ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (carmelitani) della città, assumendo il nome religioso di Giovanni di San Mattia. L’anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall’affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e santa Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell’Ordine e propose a Giovanni di aderirvi; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa d’Ávila, tanto da diventare un sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, in tale occasione assunse il nome di Giovanni della Croce. Alla fine del 1572, su richiesta di Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Ávila, dove la santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, il 2 dicembre 1577, la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell’Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Giovanni rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove trascorse 10 anni in vari conventi. Assunse incarichi sempre più importanti nell’Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale. Tornò poi nella sua terra natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l’ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì il 14 dicembre 1591, a 49 anni; patrono dei mistici e poeti.
SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunato14 dicembre: sant’Agnello di Napoli, nacque nel 535 d.C. da genitori napoletani, che appartenevano a una ricca famiglia proveniente, secondo la tradizione, da Siracusa e imparentata con quella di santa Lucia. Lo battezzarono con il nome di Agnello il loro figlio tanto desiderato. La madre Giovanna aveva sofferto a lungo temendo di essere sterile. Quando ormai aveva perduto ogni speranza se non in un miracolo, si era recata a pregare la Madonna all’edicola unita alle mura della città, là dove vi era una volta il tempio di Diana, protettrice di Napoli: finché un giorno, dopo un mese di preghiere, la Vergine apparve alla donna annunciandole che le era stata tolta la sterilità e avrebbe dato alla luce un figlio caro a Dio e al suo popolo. Su Agnello non ci sono pervenute testimonianze se non qualche notizia dal vescovo Fortunato. La prima Vita risale soltanto al X secolo, quando Pietro suddiacono, che era stato guarito da una grave infermità grazie all’intercessione del santo, compose un Libellus miraculorum dove raccontava, oltre alla sua, ventidue guarigioni miracolose. Ad essa si ispirarono il lezionario dell’ufficio del santo e le successive Vite che aggiunsero altre notizie, come ad esempio l’intervento miracoloso, dopo la morte, per liberare Napoli dall’assedio dei Longobardi. Pietro suddiacono narra che dopo la caduta di Cartagine, conquistata dai Vandali nel 439, molti vescovi e sacerdoti furono mandati in esilio. Fra questi vi era Settimio Celio Gaudioso, vescovo di Abitine, venerato come santo al 28 ottobre. Accolto affettuosamente a Napoli dal clero e dal popolo, si stabilì presso le mura della città fondandovi un monastero basiliano che prese il suo nome. Di quel monastero, che si trovava alla Sanità, divenne abate sant’Agnello. Ma prima di entrarvi aveva condotto vita eremitica in una grotticella presso l’edicola della Madonna miracolosa, che venne poi trasformata dai genitori in una cappellina e infine nella chiesetta di Santa Maria Intercede o dei Settecieli ora inglobata nella chiesa di Sant’Agnello Maggiore. Perduti i genitori, il giovane eremita fondò con l’eredità un ospedale per i poveri sofferenti dove avvenne il suo primo miracolo. Un giorno un ladruncolo osò rubargli una gallina dell’ospedale, ma venne sorpreso da Agnello che lo rimproverò. Vistosi scoperto, il ladro reagì malamente aggredendolo. Non l’avesse mai fatto! Rimase con un braccio paralizzato mentre gli si oscurava la vista. Spaventato, chiese perdono e aiuto al santo che, raccoltosi in preghiera, riuscì ad ottenere la sua guarigione. Nel 553 l’esercito bizantino e quello degli Ostrogoti, comandato da Teia, il successore di Totila, si scontravano nei pressi della città. I napoletani terrorizzati si rivolsero al santo, ormai popolare, chiedendogli aiuto e Agnello li rassicurò dicendo che la città sarebbe stata risparmiata. La battaglia si concluse con la sconfitta dei Goti e la morte di Teia. Napoli era salva. Per esprimergli la sua gratitudine il popolo volle sistemare una sua statua presso la chiesuola di Santa Maria Intercede. Non s’era mai visto nulla di simile per una persona ancora vivente. Ma Agnello, giustamente imbarazzato, la fece poi abbattere. Siccome la sua fama aumentava di giorno in giorno, decise di allontanarsi dalla città affidando l’ospedale ai discepoli. Si ritirò dapprima a Monte Sant’Angelo, nel Gargano, presso la grotta di San Michele, poi tra i monti sanniti, in una grotta che si trovava non lontano da Alatri, a Guarcino, dove è ora un santuario frequentato dalla popolazione della zona, di cui Agnello è patrono. In quel luogo visse per sette anni, fino a quando la Vergine, apparsa in sogno, non lo invitò a tornare a Napoli. Fu allora che Agnello entrò nel monastero di San Gaudioso diventando benedettino e poi sacerdote, di cui fu nominato dopo qualche anno abate. Morì il 14 dicembre 595; copatrono di Napoli.
SANT’Oggi. Sabato 14 dicembre la chiesa ricorda san Giovanni della Croce, sant’Agnello di Napoli e san Venanzio Fortunato
14 dicembre: san Venanzio Fortunato (Venantius Honorius Clementianus Fortunatus), nacque a Duplavilis (odierna Valdobbiadene, Treviso) nel 530. Studiò grammatica e retorica nei pressi di Aquileia e diritto a Ravenna. Quando era studente fu colpito da un’infermità alla vista, cui seguì una inspiegabile guarigione che Venanzio attribuì all’intercessione di san Martino di Tours, si racconta che dopo essersi unto con l’olio di una lampada che ardeva davanti a un’immagine del santo guarì. Decise, nel 565, perciò di andare a rendergli grazie presso la sua tomba in Gallia a Tours. Durante il lungo pellegrinaggio viene ospitato da famiglie signorili che conquistò dilettandole con i suoi versi composti in latino, in particolare a Mertz fu ricevuto alla corte di re Sigisberto, dove fu apprezzato per la sua cultura e le sue liriche. A Tours prega sulla tomba di san Martino, cui dedica un suo poema. Da lì raggiunse Poitiers dove conobbe Agnese e Radegonda. Radegonda, figlia del re Bertario di Turingia, fu sposata per forza a Clotario I re di Neustria. Ella si ritirò alla vita monastica dopo l’assassinio di suo fratello ad opera di Clotario stesso. In seguito alla protezione di Radegonda, persona molto colta, Venanzio si stabilì a Poitiers, dove rimane colpito dal suo modo di vivere la fede. Radegonda fondò un convento a Saix, non lontano da Poitiers, e Radegonda ne diviene badessa. Il convento prese il nome della Santa Croce, in seguito ad una reliquia della Santa Croce donata dall’imperatore Giustino II all’abadessa Radegonda. Fu in occasione dell’installazione della reliquia all’interno del monastero che Fortunato scrisse il Vexilla Regis e il Pange Lingua, opere che saranno riconosciute dalla Chiesa come testi liturgici. Dopo la morte di Radegonda, nel 587, decise di prendere gli ordini sacri e assunse la direzione spirituale del monastero. Nel frattempo continua a scrivere e i nuovi temi della sua poesia sono tutti religiosi: il culto della Croce, la pietà mariana, il senso della morte e la guida spirituale dei fedeli. Approfondisce la conoscenza dei Vangeli e dei salmi, dei profeti (Isaia in particolare) e della patristica. Compose tra gli altri l’inno “Vexilla regis prodeunt”, in onore della Croce, che è tutt’oggi cantato durante la settimana santa, mentre altri suoi inni sono stati inclusi nel Breviario. Nel 595-97 venne consacrato vescovo di Poitiers, in un periodo di lotte intestine tra le famiglie locali. Negli anni dei suo vescovato, Fortunato fu considerato esempio di temperanza e stabilità. In tutta la sua vita scrisse inni, saggi, elegie funebri, omelie e poesie dedicate alla vita dei santi, in particolare scrisse la storia della vita dei sette santi della Gallia tra cui san Martino e santa Radegonda. Fu considerato uno degli ultimi poeti gaelici latini e uno dei primi poeti cristiani a scrivere opere in devozione a Maria. Morì il 14 dicembre 607.