SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fiore

SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fiore

SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fiorea cura di don Riccardo Pecchia

Oggi 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, nacque a Torino il 26 ottobre 1828, da una da una famiglia di ricchi banchieri. Resta presto orfano di padre, nel 1833, e per questo è mandato nel 1836 in collegio a Savona dai padri Scolopi. Dopo un periodo di sbandamento giovanile ritorna a Torino ed intraprende gli studi di filosofia e teologia alla Regia Università di Torino. Ordinato sacerdote nel 1851, si impegnò subito nel suo ministero, in modo particolare nella predicazione, nelle confessioni, nell’insegnamento catechistico e nell’assistenza ai giovani detenuti nelle carceri minorili, ma anche ragazzi di strada e altri giovani in difficoltà. Per amicizia con san Giovanni Bosco, che aveva SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fioredi lui grande stima, nel 1857 accettò di dirigere l’Oratorio di San Luigi, fondato dal santo alla periferia della città. Tra le iniziative a favore dei giovani studenti ed operai Leonardo promuove l’apertura di una casa-famiglia, presso la chiesa di Santa Giulia, fatta sorgere dalla Marchesa Giulia Colbert di Barolo (anch’essa beata), per ospitare coloro che non hanno la possibilità di pagarsi una camera in albergo. Fonda inoltre la colonia agricola di Rivoli, per la formazione cristiana e professionale dei giovani agricoltori. Torino a quei tempi vide una intensa crescita demografica a causa della nascente industrializzazione che attirava in città mano d’opera dalle campagne; nel clima di anticlericalismo fomentato dalle classi dirigenti di ispirazione liberal-massonica, Leonardo si rese conto che l’esperienza dei laboratori artigiani o delle fabbriche portava spesso i giovani operai ad abbandonare la fede. Per questo, nel 1865 lanciò il progetto di una Unione di operai cattolici. In quello stesso anno volle entrare, pur essendo già sacerdote e laureato, nel seminario di San Sulpizio a Parigi, dove la sua vita interiore fu fortemente influenzata da maestri di spiritualità come il fondatore, il Servo di Dio Gian Giacomo Olier. Tornato in patria, nel novembre 1866 gli fu chiesto di assumere la direzione del Collegio degli Artigianelli, fondato a Torino da don Giovanni Cocchi, per ragazzi poveri e abbandonati che andavano a bottega presso piccole aziende artigiane: una istituzione che, pur avendo guadagnato consensi anche in ambienti laici, versava in una difficile situazione economica. Leonardo accettò l’incarico “provvisoriamente”, ma lo avrebbe onorato per ben 34 anni fino alla morte. Per mantenere quei giovani che non avevano famiglia arrivò a mendicare aiuti, fidando sempre nella Provvidenza. Nel 1873 fondò la Congregazione di San Giuseppe (giuseppini) per dare continuità alla sua azione sociale ed educativa. Il fine della congregazione è l’educazione della gioventù, specialmente di quella povera ed abbandonata. Collabora a molte iniziative in campo sociale in difesa dei giovani, degli operai e dei più poveri. Anche se carico da molteplici impegni, Leonardo non toglieva spazio alla sua vita interiore: tutti rimanevano colpiti nel vederlo pregare o celebrare la Messa. L’ufficio divino lo recitava in chiesa, in ginocchio, e talora ritardava le sue meditazioni vicino al tabernacolo per tutta la notte. I suoi tre grandi amori erano il Sacro Cuore di Gesù, la Madonna e san Giuseppe. Guarito, nel 1877, da una malattia mortale per la benedizione dell’amico san Giovanni Bosco, sopportò negli ultimi anni alterne ricadute senza venir meno con continui viaggi alla sua missione di fondatore. Moribondo, volle scendere da letto per scrivere un’ultima lettera a favore di un suo ex-artigianello. Morì il 30 marzo 1900.

30 marzo: san Ludovico da Casoria (al secolo Arcangelo Palmentieri), nacque a Casoria (Napoli) l’11 marzo 1814, da una coppia di genitori molto religiosa, dopo aver fatto l’apprendista falegname, andò a studiare presso il convento francescano dei minori riformati nella vicina Afragola, dove in seguito entrò vestendone l’abito nel 1832. Fu accolto nell’Ordine dei Frati Minori Alcantarini nel noviziato presso il Convento San Giovanni del Palco di Taurano (Avellino), proseguì gli studi negli istituti di Sant’Antonio ad Afragola, di Sant’Angelo a Nola e di San Pietro ad Aram a Napoli. Dal 1841 insegnò fisica, matematica e filosofia in alcuni istituti privati e nel convento di San Pietro ad Aram di Napoli. Fu ordinato presbitero il 4 giugno 1847 ed iniziò la svolta della sua azione sacerdotale verso un intenso impegno sociale: a San Pietro ad Aram aprì SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fioreuna piccola infermeria per religiosi e iniziò a radunare intorno a sé un gruppo di terziari di ambo i sessi che lo seguissero nell’opera assistenziale verso i bisognosi. Nel 1852, finanziato da ricchi benefattori, acquistò in località Scudillo di Capodimonte, presso Napoli, un edificio che fu detto Casa La Palma e che ospitò un piccolo convento francescano e un’infermeria-farmacia per religiosi poveri e malati delle zone di Napoli e Caserta. Sollecitato dal sacerdote genovese G.B. Olivieri, Ludovico iniziò a occuparsi anche del riscatto dalla schiavitù e della conversione dei bambini dell’Africa nera accogliendone nel 1854 i primi due nella Casa della palma con l’idea di istruirli ed educarli ai valori cattolici. Nelle sue intenzioni questi bambini, educati all’interno di appositi collegi, avrebbero frequentato il noviziato a Napoli e poi, affiancati a missionari italiani, sarebbero tornati a evangelizzare l’Africa, in modo che, come affermò lo stesso Ludovico: «l’Africa convertirà l’Africa». L’8 dicembre 1859 Ludovico fondò la Congregazione dei Frati della Carità, detti anche bigi dal colore dell’abito. I primi bigi erano fratelli laici cui in seguito si aggiunsero alcuni sacerdoti, tutti professanti la regola del Terz’Ordine francescano con particolare cura per l’istruzione dei giovani popolani in condizioni disagiate e l’assistenza agli infermi. Ai frati bigi Ludovico aggiunse nel 1866 le suore di Santa Elisabetta, dette anche bigie del Terz’Ordine o elisabettine, per molti versi corrispettivo femminile della congregazione maschile: tra le loro mansioni vi erano la preghiera per i moribondi, il seppellimento e l’esumazione dei morti e la preghiera per le loro anime. Fondò sempre a Napoli nel 1866 un collegio per giovani benestanti chiamato La Carità e successivamente un ospizio marino per vecchi pescatori a Posillipo. Nel 1871 aprì ad Assisi un istituto per ciechi e sordomuti, dopo che già uno era sorto a Napoli. La sua importanza rimane legata al carattere fortemente sociale del quale improntò la sua azione caritativa e che gli consentì nella pratica la fondazione capillare di istituti e collegi, quando, a metà dell’Ottocento, il ruolo dei terziari risultava per certi versi antiquato e bisognoso di rinnovamento. Morì a Napoli il 30 marzo 1885, nell’ospizio marino di Posillipo.

SANT’Oggi. Venerdì 30 marzo la chiesa ricorda san Leonardo Murialdo, san Ludovico da Casoria e beato Gioacchino da Fiore30 marzo: beato Gioacchino da Fiore, nacque a Celico (Cosenza) nel 1130 circa, da una famiglia borghese e ciò gli permise di studiare a Cosenza, il centro culturale in quel tempo. Ben presto fu inviato dal padre a lavorare, presso l’ufficio del Giustiziere della Calabria. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo, dove lavorò presso il Cancelliere di Palermo l’arcivescovo Stefano di Perche. Entrato in disaccordo con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terrasanta. Nel corso di questo viaggio maturò l’ideale di dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture. Al ritorno in patria Gioacchino si ritirò dapprima in una grotta nei pressi di un monastero posto sulle falde del monte Etna, poi tornò a Guarassano, nei pressi di Cosenza. Qui fu riconosciuto e costretto ad incontrare il padre, che lo aveva dato per disperso. Al padre confessò di aver smesso di lavorare per il re normanno per servire il Re dei Re (Dio). Egli visse circa un anno presso l’Abbazia di Santa Maria della Sambucina, da cui si allontanò per andare a predicare dall’altra parte della valle vivendo nei pressi del guado Gaudianelli del torrente Surdo, vicino Rende. Poiché al tempo la predicazione di un laico non era ben accetta, Gioacchino compì un viaggio fino a Catanzaro, dove il vescovo lo ordinò sacerdote. Durante il tragitto da Rende a Catanzaro si fermò nel monastero di Santa Maria di Corazzo, dove incontrò il monaco Greco che lo pose davanti alla parabola dei talenti, rimproverandolo di non mettere a frutto le sue doti. Tornò a predicare a Rende, con l’abito di sacerdote. Poco tempo dopo vestì l’abito monastico entrando nel monastero di Santa Maria di Corazzo. Questa abbazia benedettina aspirava a seguire la regola cistercense. Gioacchino non ambiva a diventare abate, ma a studiare le Sacre Scritture. Gli uomini più potenti di quel tempo, riunitisi con lui a Sambucina lo convinsero ad accettare la carica di abate di quel monastero, all’epoca poverissimo. In qualità di abate compì un viaggio nell’Abbazia di Casamari tra il 1182 e il 1184. Durante questo periodo incontrò il papa Lucio III che gli concesse la licentia scribendi. Nel 1186-1187 si recò a Verona, dove incontrò il papa Urbano III. Al ritorno si ritirò a Pietralata, una località sconosciuta, abbandonando definitivamente la guida dell’Abbazia di Corazzo. Pietralata divenne presto un luogo incapace di ospitare la moltitudine di gente che accorreva a sentire Gioacchino, pertanto nell’autunno del 1188 Gioacchino salì in Sila alla ricerca di un territorio che si potesse abitare. Dopo varie perlustrazioni si fermò nel luogo oggi denominato Jure vetere Sottano, attualmente nel comune di San Giovanni in Fiore. Dopo sei mesi abbandonò Pietralata e si trasferì con i suoi discepoli in Sila sul luogo prescelto. Le sue dottrine ed il suo ideale monastico, particolarmente austero e rigoroso, lo misero in contrasto con il suo Ordine, dal quale si staccò nel 1189, fondando a San Giovanni in Fiore, nel 1191, la nuova Congregazione Florense. Nel 1196 ebbe da papa Celestino III il riconoscimento del proprio Ordine. Gioacchino elaborò nei suoi scritti una visione escatologica basata sull’evoluzione storica della Trinità. Egli era un fedele difensore dell’unità della sostanza e della Trinità delle Persone. Questo è un motivo ricorrente in tutte le sue opere, poiché è il centro della sua Teologia della Storia. Secondo la sua concezione la vita trinitaria divina si riflette in tre distinte età della storia: la prima età, appartiene al Padre, ed è l’epoca dell’Antico Testamento; la seconda, è quella del Figlio, ed è quella presente e prossima alla conclusione; la terza, è quella dello Spirito Santo, ed è il futuro e completamento dell’età del Figlio. Morì a San Giovanni in Fiore il 30 marzo 1202.