TEATRO. “ISTRUZIONI PER L’USO” (di un classico al teatro). Seminario all’Università con Mariano Rigillo

TEATRO. ISTRUZIONI PER L’USO (di un classico al teatro). Seminario allUniversità con Mariano Rigillo

di Sabato Covone

Il 26 aprile si è svolto un seminario dal titolo “Interpretare i classici sulla scena” presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, nell’ambito del Master di II livello “Drammaturgia e Cinematografia – Critica, scrittura per le scene e storia”. Il coordinatore del corso, il professore di Letteratura Italiana Pasquale Sabbatino, ha pensato bene di far incontrare gli studenti con un attore italiano di teatro e di cinema di lungo corso: Mariano Rigillo. Nelle lezioni tenute da chi è più concentrato sulla pratica che sulla teoria le nozioni tecniche sono rare, e quelle poche fornite vengono spiegate con chiarezza, per coglierne origini e fini (in queste circostanze forse si vogliono anche avvicinare gli aspiranti critici al mondo del lavoro). Si è colta l’occasione di uno spettacolo ospitato dal Teatro Mercadante di Napoli dal 20 aprile al 1 maggio: “Re Lear” di William Shakespeare, in cui Rigillo interpreta il vecchio sovrano. Il relatore che ha introdotto il convegno ha manifestato apprezzamento per la versione del “Re Lear” di Rigillo, perché sarebbe riuscito a mostrare sia il sentimento di vecchiaia, che di gioventù, che di potenza, racchiusi nella personalità dell’anziano dominatore. Durante la lezione l’attore ha percorso le fasi che lo hanno condotto a compenetrarsi col personaggio, non disdegnando la narrazione di episodi di vita che hanno fatto accostare i discenti ad una parte della storia del teatro italiano. Il partenopeo classe ’39 ha spiegato le difficoltà incontrate, e l’utilità dei suggerimenti offertigli da oltre 40 anni dai vari artisti con cui ha lavorato. Più volte si è per esempio accennato a Orazio Costa (1911-1999), insegnante e regista dal quale Rigillo ha affermato di aver appreso molto, e Vittorio Caprioli (1921-1989), collega dell’interprete shakespeariano. Costa è stato ricordato come un maestro nell’analisi delle gestualità e dell’espressività in genere, che imponeva agli attori persino di prestare attenzione alla posizione delle proprie mani quando si parlava, anche nella vita comune. Caprioli è stato una fonte di ispirazione con la quale Rigillo si è sempre confrontato. Un consiglio in particolare è stato essenziale per l’intera carriera del discepolo: bisogna divertirsi col personaggio, domandolo, senza mai farsi sopraffare dallo stesso e cadere nell’angoscia. Il vincitore del Premio Flaiano alla Carriera nel 2011 ha raccontato di tenere con sé sempre una foto di Caprioli, con la quale dialoga nel camerino dopo le prove. L’indicazione dell’interprete più maturo questa volta faticosamente è stata assimilata dall’allievo per i contrasti caratteriali – Rigillo ha ripudiato il termine “psicologici” – tra Mariano e Lear. Il re è vecchio, ma il potere di un tempo gli è parzialmente rimasto, così come la forza fisica, e nella rappresentazione doveva evincersi questa contraddizione. Il protagonista si è sentito a disagio per un affaticamento che non riusciva a trovare dentro di sé. La soluzione è arrivata fortunosamente: tre giorni prima dell’allestimento pubblico definitivo Rigillo si è spaccato il labbro ed è dovuto andare al pronto-soccorso. Il medico ha cucito talmente bene la ferita che l’artista non ha fatto caso sul palcoscenico al taglio. La conseguenza per il primattore è stata una presa di coscienza del proprio stato di salute che gli ha facilitato l’immedesimazione. Anche altri aspetti tecnici sono stati spiegati sinteticamente ma efficacemente. Si pensi, per esempio, al ruolo cruciale della respirazione, fondamentale per arrivare alla fine della battuta. Il protagonista si è poi ampiamente soffermato sul ruolo dell’acustica dei teatri e sul fascino di quelli antichi. Senza rinnegare i vantaggi derivanti dall’introduzione dei microfoni Rigillo si è mostrato quasi nostalgico verso i tempi in cui ci si sforzava di farsi sentire per tutto il teatro esclusivamente con la propria voce. C’è stato poi un riferimento ad alcuni teatri, dotati di acustica eccellente, come il celeberrimo monumento di Epidauro, nel Peloponneso. In Grecia, infatti, i turisti si accomodano sui posti a sedere e una persona al centro accende un fiammifero: si sente fin sopra. Il rispetto delle tradizioni è così importante per il Maestro che lo spettacolo del Mercadante prevede anche repliche alle 17, così come nell’Antica Grecia le rappresentazioni avvenivano a quell’ora e terminavano più o meno al tramonto; oggi invece si tende a riempire la prima serata con la messa in scena di un’opera. L’incontro è stato anche un’opportunità per far emergere alcune critiche all’Italia, così poco incline alla cultura (soprattutto teatrale). L’attore è partito dal 400esimo anniversario della morte, secondo gli storici, di William Shakespeare il 23 aprile. In quell’occasione Obama si è precipitato nei luoghi di vita e di attività del drammaturgo, così come in Tv abbiamo visto il principe Carlo rendere omaggio all’illustre poeta salendo sul palco e interrompendo una rappresentazione di Judi Dench e Benedict Cumberbatch per correggerli nella recitazione del celeberrimo dubbio amletico. Nessun politico italiano, al contrario, ha ritenuto opportuno ricordare il grandissimo scrittore. Il potere nel nostro Paese, secondo Rigillo, vuole solo ingabbiare la creatività, con <<decreti e de-cretini>>, e lasciare che se ne parli solo nel rotocalco. L’intervento è terminato con la lettura, recitata, di una poesia inserita in “Prima del silenzio”, opera teatrale di Giuseppe Patroni Griffi del 1979, che conferisce un valore speciale alle parole, e anche un elevatissimo grado di responsabilità ad esse e a chi le pronuncia, dal momento che sopravvivono anche alla catastrofi: “La morte della parola ci costringe al silenzio subendo il rifiuto a rispondere di chi dice che le parole si sono distaccate dalle cose come se le cose fossero esistenza e non piuttosto dalle parole prendessero consistenza”. E’ altrettanto vero che la fine della parola lascia un vuoto incolmabile rispetto alle altre calamità: “Ogni uomo che muore risorge in un altro che nasce. La parola che non trova asilo nella bocca dell’uomo è già la morte — senza resurrezione.”