Il Dieselgate passa per Avellino. E la Volkswagen deve restituire il 20% del prezzo dell’auto ad un irpino.

Il Dieselgate passa per Avellino. E la Volkswagen deve restituire il 20% del prezzo dellauto ad un irpino.

È stato il Tribunale di Avellino a riconoscere il risarcimento all’automobilista perché vittima di pratica commerciale ingannevole e la sentenza è di portata non solo nazionale. L’Osservatorio di AutomobilismoIrpino.it ha ascoltato il team dello studio dell’Avv. Luisa Caprio di Solofra (AV) che ha promosso l’azione legale e che spiega tutti i retroscena. Una storia che merita di essere raccontata.

Chi tra il 2009 ed il 2015 ha acquistato un auto Diesel del gruppo Volkswagen, ovvero a marchio Audi o Seat o Škoda o Volkswagen, con motore identificato dalla sigla EA189 ha diritto ad un risarcimento pari al 20% del prezzo di acquisto perché ha subìto una pratica commerciale ingannevole.
Lo ha decretato il Tribunale di Avellino nella recente sentenza emanata dal Giudice Maria Cristina Rizzi nel ricorso promosso dallo studio legale Luisa Caprio di Solofra (AV) a tutela dei diritti di un automobilista irpino, proprietario di una Volkswagen Beetle ed omologata Euro 5 solo grazie all’artifizio elettronico (c.d. defeat device) escogitato dal produttore per aggirare le misurazioni delle emissioni inquinanti.
Il fatto si colloca nell’ambito del cosiddetto “dieselgate” ovvero la vicenda di portata mondiale scoppiata negli Stati Uniti il 18 settembre 2015, quando l’Epa, l’Environmental protection agency, emise un avviso di violazione delle norme sulla qualità dell’aria a carico del gruppo Volkswagen. Sotto accusa i motori quattro cilindri a gasolio della famiglia EA189 montati sui modelli del periodo 2009-2015 e dove si accerta la presenza di un software in grado di attivare una calibrazione tale da ridurre le emissioni di NOX solo quando la vettura è sottoposta ai test del ciclo di omologazione. Una volta su strada il software si disattiva e le emissioni generate risultano “fino a 40 volte superiori al consentito”, come riportava all’epoca il mensile Quattroruote. Da quel momento, oltre a determinare lo sconvolgimento degli assetti manageriali apicali della casa tedesca e la proiezione dell’industria automobilistica mondiale verso un’elettrificazione probabilmente più affrettata che urgente, gli effetti sulla tutela dei diritti dei consumatori si sono spiegati con forza diversa tra scenario statunitense, europeo ed infine nazionale.
Un universo che su scala mondiale interessa qualcosa come 11 milioni di vetture del gruppo Volkswagen acquistate dal 2009 al 2015, di cui 8,5 milioni circolanti in Europa. Parliamo di modelli motorizzati 2.0 Tdi diffusissimi anche sulle strade irpine, come solo per esempio, Volkswagen Golf VI, Passat VII, Tiguan prima serie, Maggiolino o Audi A4, A3, Q3, Q5, Skoda Octavia, Seat Altea e Leon.
Ad oggi in Italia risulta aperta una class action pendente al Tribunale di Venezia e promossa da Altroconsumo con l’adesione di oltre 76mila automobilisti. Pur se non se ne esclude l’esistenza, non risultano invece azioni individuali come quella dell’automobilista irpino. La class action italiana seguirebbe in ordine cronologico quella statunitense e quella tedesca che a febbraio, secondo quanto pubblicato Altroconsumo, ha raggiunto un accordo extragiudiziale con il quale la federazione di consumatori tedesca VZBV ha ottenuto un totale di 830 milioni di euro da risarcimenti che su base individuale sono valsi tra 1.350 e 6.257 euro a seconda di modello ed età del veicolo. Ammonterebbe invece a circa 7.000 il risarcimento riconosciuto all’automobilista irpino in quanto pari al 20% del prezzo d’acquisto della vettura e così superiore al 15% richiesto nella class action italiana.

Ecco quindi che la sentenza del Tribunale di Avellino fortifica ed innova le posizioni di diritto sollevate dagli automobilisti italiani creando un precedente che potrebbe essere imitato.
Ed in questo Speciale di AutomobilismoIrpino.it vediamo come, grazie al team dello studio legale Avv. Luisa Caprio e composto dai Dott.ri Romolo ed Alfredo Clemente e dalla Dott.ssa Nancy Caprio, tutti specializzatisi in questi anni nella difesa del consumatore.

SPECIALE. IL “DIESELGATE” PASSA PER AVELLINO
L’Osservatorio di AutomobilismoIrpino.it ha ascoltato il team dello studio dell’Avv. Luisa Caprio di Solofra (AV) promotrice dell’azione legale per la quale il Tribunale di Avellino ha condannato Volkswagen Ag e Volkswagen Italia a risarcire un automobilista irpino per il 20% del prezzo di acquisto della vettura. Motivo: la Casa aveva adottato una pratica commerciale scorretta ed ingannevole presentando l’auto come Euro 5, un valore, però, restituito solo grazie ad un software che alterava i valori di emissioni inquinanti durante i test di omologazione rispetto all’uso stradale. Tutti i dettagli della battaglia legale.
DA DOVE SI È PARTITI
“Quando il nostro assistito ha manifestato la volontà di voler avviare l’iter giudiziale che si è concluso con la sentenza 1855/2020 del Tribunale di Avellino il team ha sentito l’esigenza di avviare un lavoro di ricerca per fare il punto sulla complessità del caso prospettato considerando che la vicenda, già conosciuta per essere passata all’attenzione dei media mondiali, non era di facile risoluzione in relazione alla moltitudine di soluzioni che i diversi orientamenti giurisprudenziali e le strategie legali che negli anni erano state messe in campo da colleghi e associazioni di categoria che si erano occupati del caso Dieselgate Volkswagen. Questioni molto spinose che riguardavano l’ambito del diritto dei consumatori e del diritto societario, capire quali problematiche di tipo processuale dover affrontare (come la questione del foro di competenza per questa causa in quanto il nostro cliente era anche un noto professionista con residenza in Avellino e aveva acquistato l’auto ad Isernia) e altre soluzioni come la necessità di dover analizzare atti di giurisdizione esterna a quella nazionale che potevano prevedere anche analisi dei principi di diritto internazionale e europeo, diritto tedesco, principi di common law dovendo pertanto procedere ad un attenta traduzione di atti, un lavoro che proprio grazie ai nostri collaboratori più giovani è stato possibile affrontare. L’entità del risarcimento non è stato sin da subito una preoccupazione avendo intuito il contesto valoriale su cui poggiava la questione. Il dibattito quando si parla di Dieselgate è la questione ambientale che proprio queste multinazionali con elevata forza politica ed economica devono rispettare nel mettere in essere dei piani di comunicazione idonei volti al rispetto delle norme che tendono alla protezione dei consumatori, in quanto questi oggi sempre più intenzionati all’acquisto di prodotti che abbiano come caratteristiche l’ecosostenibilità e il rispetto dell’ambiente”.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE E NAZIONALE E LE CLASS ACTION
“Nel determinare la nostra linea di azione non potevamo tenere conto del contesto delle class action messe in essere da Altroconsumo in Italia e tantomeno potevamo essere al corrente degli accordi stragiudiziali messi in essere dalle associazioni tedesche avendo iniziato la causa nell’anno 2016. Allora le modalità di risoluzione di tale vicenda da un punto di vista giudiziale e stragiudiziale si ritenevano essere ancora embrionali e aperte a tante interpretazioni. Da qui anche la difficolta di impostare un discorso processuale in vista di una apertura giurisprudenziale che al tempo dell’istaurazione dell’azione e, ancor prima, del lavoro di studio che ha anticipato la presentazione della domanda, era evidentemente inesistente. Pertanto, anche da questo punto di vista riteniamo la nostra strategia legale sia stata all’avanguardia. Negli ultimi mesi siamo stati messi al corrente dell’entità delle adesioni della class action messe in essere in Italia e siamo contenti che la pronuncia che si è imposta a conclusione del nostro lavoro possa essere di aiuto agli oltre 76.000 che attendono risposta e a tutti coloro che vogliano mettere in essere azioni legali in tal senso. Una delle rilevanti differenze tra le richieste fatto di Altroconsumo e la decisione del tribunale di Avellino è nell’entità del risarcimento. Infatti Altroconsumo ha richiesto il 15 % e al nostro assistito è stato riconosciuto il 20% sul valore dell’automobile”.
CAPISALDI DELLE PRETESE. LA PRATICA COMMERCIALE SCORRETTA/INGANNEVOLE E NON IL DIFETTO DI CONFORMITÀ DEL BENE.

“L’obiettivo che ha ispirato la nostra linea legale era poter far emergere una responsabilità direttamente ricollegabile al Gruppo Volkswagen. Solo dimostrando una pratica commerciale ingannevole si coglie il vero punto della fallace strategia produttiva e commerciale del colosso tedesco. Infatti, i consumatori in presenza di un acquisto un’auto difettata dovrebbero chiamare in giudizio la concessionaria venditrice che sua volta ha diritto di rivalsa sulla Volkswagen secondo un principio di responsabilità a catena. Noi abbiamo ritenuto operare, invece, un ragionamento che partendo dagli art. 21 – 22 e 23 del Codice del Consumo dimostrasse come Volkswagen sistematicamente e scientemente avesse ingannato il consumatore. In tal caso, il difetto che dipendeva dall’istallazione del software che manipolava i livelli inquinanti dell’autoveicolo era, come affermato dalla stessa casa madre, esistente su tutti gli autoveicoli distribuiti su larga scala a livello mondiale. Il mezzo acquistato dal nostro assistito era stato richiamato per una revisione in tal senso con una lettera inviata dal Gruppo Volkswagen Italia e con tale documento si è potuto dimostrare la responsabilità diretta della casa automobilistica. Un vero e proprio inganno commerciale, conosciuto dalla Volkswagen e non fatto emergere, se non prima dello scandalo Dieselgate, a danno dei consumatori (ma anche delle stesse concessionarie). Quindi, la pratica commerciale ingannevole che abbiamo inteso attribuire alla Volkswagen Group Italia (in quanto ha commercializzato i veicoli e predisposto campagne marketing) e a Volkswagen Aktiengellshaft Germania (in quanto ha prodotto gli autoveicoli e istallato il software in questione) è evidente ai fini probatori per la riconducibilità di una responsabilità di tutta la multinazionale automobilistica rispetto al semplice difetto della cosa. Così facendo abbiamo richiesto un risarcimento per un danno economico e un danno esistenziale. Il primo fondato sul fatto che il nostro cliente avesse acquistato un prodotto credendo che avesse caratteristiche che in realtà non aveva e che era di qualità inferiore. Il secondo fondato sull’assunto che il consumatore, convinto ecologista, avesse sofferto di una grave crisi esistenziale per essere stato indotto ad acquistare un mezzo con delle emissioni inquinanti così alte. Il giudice riconosce un danno economico senza precedenti (pari al 20% del costo dell’autoveicolo maggiorato dagli interessi), a dimostrazione che fondando l’azione sulla pratica commerciale ingannevole la nostra strategia si è dimostrata vincente”.
LA LINEA DIFENSIVA DI VOLKSWAGEN AG (AKTIENGESELLSCHAFT-VWAG) E VOLKSWAGEN GROUP ITALIA S.P.A.
“L’approccio processuale di Volkswagen Group Italia e Volkswagen Aktiengellshaft è stato quello di rispondere rappresentati e difesi da un pool di avvocati che hanno eletto domicilio presso un avvocato di Avellino. La contestazione di rito che su cui più ha premuto la controparte è quella che riguarda il foro di competenza. Infatti, questa riteneva il foro di Avellino fosse incompetente perché il nostro assistito in quanto professionista non fosse effettivamente un consumatore e non rientrasse nella definizione di “consumatore” che ne da il codice del consumo. Come da noi ribadito e successivamente confermato dal Tribunale di Avellino tale eccezione è infondata perché i professionisti rientrano dalla categoria dei “consumatori” quando nell’acquisto del prodotto non perseguono come scopo la propria attività professionale. Inoltre, tra le tante contestazioni, le parti convenute nel ritenersi non responsabili di pratica commerciale ingannevole, scaricano una eventuale responsabilità sulla concessionaria in quanto il consumatore aveva acquistato un prodotto difettoso. Tale eccezione, sulla base di quanto detto, si è dimostrata infondata. Non vi è stato né da parte nostra tantomeno da parte di Volkswagen un tentativo di bonario componimento anche perché Volkswagen era impegnata a non creare un precedente che potesse consentire ai milioni di acquirenti in tutta Europa di ottenere un risarcimento danni. Per quanto ci riguarda invece non eravamo interessati a raggiungere nessun accordo stragiudiziale perché impegnati a sancire giudiziariamente una responsabilità del gruppo tedesco che avrebbe dovuto costituire un precedente importante per milioni di consumatori. La causa è andata avanti fino in fondo concludendosi con tale storica
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sentenza”.
COSA POSSONO FARE ORA GLI AUTOMOBILISTI D’IRPINIA E D’ITALIA PROPRIETARI DI VETTURE GRUPPO VW CON MOTORE DIESEL EA 189 ED I PUNTI FERMI DELLA SENTENZA CHE POSSONO AIUTARLI
“È possibile presentare un ricorso per tutti coloro che siano proprietari di autovetture del gruppo VW con motore Diesel EA 189 ancora per poco essendo la domanda vicina alla prescrizione. In ogni caso dipende dal tipo di auto e dall’anno di produzione. Le auto oggetto della vicenda sono quelle con motore 2.0 Turbo Diesel TDI EA 189 e come nel nostro caso anche quelle con motore 1.6 TDI nello specifico: Seat Altea, Seat Leon, Seat Alambra, Audi Q5, Audi Q3, Audi TT, Audi A6, Audi A5, Audi A4, Audi A3, Audi A1, Skoda Jeti, Skoda Octavia, Skoda Superb, Volkswagen Tiguan, Volskswagen Sharan, Volkswagen Touran, Volkswagen Passat, Volkswagen Golf, Volkswagen Maggiolino. Inoltre dipende anche dall’eventuale prescrizione che il singolo consumatore ha inteso spiegare dal 2015 ad oggi ricordando che l’azione di risarcimento danni si prescrive in 5 anni e che una lettera di contestazioni del consumatore interrompe i termini prescrizionali del diritto, come ad esempio una comunicazione inviata a Volkswagen a mezzo raccomandata A/R di contestazione per la pratica commerciale scorretta”.
a) Il tribunale da adire è quello di residenza del cliente consumatore.
“Il tribunale da adire è sempre quello del consumatore quando si tratta di consumatori ex art 66 codice del Consumo. Si ribadisce, come confermato in sentenza, che per consumatore si intende «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta». In definitiva siamo tutti consumatori quando compriamo qualcosa per uno scopo privato e non legato a determinate attività e pertanto dovremo godere tutti del foro del consumatore ovvero il nostro luogo di residenza in caso di controversie che hanno ad oggetto beni acquistati. Questo sembra un dato acquisito ma, come tale caso insegna, molto spesso le difese delle multinazionali possono chiedere l’incompetenza territoriale del tribunale adito e ciò comporterebbe un dispendio di tempo e risorse”.
b) Non sono necessarie perizie tecniche perché è incontestato lo sviluppo dei fatti alla base delle richieste di risarcimento.
“Ai fini della dimostrazione di tale pratica commerciale ingannevole non è stato necessario presentare perizie tecniche in quanto il danno si ritiene dimostrato da un fatto ai limiti della notorietà e acclarato della assunzione di responsabilità del Gruppo Volkswagen. Per poter far a meno di una documentazione enorme e di difficile (se non impossibile) reperimento siamo ricorsi al secondo comma del art. 115 c.p.c. che disciplina la deroga al principio dispositivo delle prove e al principio del contraddittorio che si opera in relazione ad un fatto notorio che va inteso come fatto acquisito alle conoscenze della collettività (come il caso Dieselgate) , con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ma vi è di più, in tale caso il gruppo tedesco aveva più volte ammesso una propria colpa attraverso dimissioni di vertici aziendali, comunicati stampa e, da ultimo, lettere agli stessi consumatori oltre che dall’insieme delle sanzioni che le varie autorità avevano comminato al gruppo tedesco per la pratica ingannevole poste in essere. Pertanto, qualsiasi accertamento tecnico era da ritenersi superfluo”.
c) Sia VW Italia sia casa madre sono legittimati passivamente in quanto non è in discussione un danno alla cosa, ma la pratica commerciale scorretta.
“Volkswagen Group Italia è chiamato a rispondere in quanto ha commercializzato i veicoli e predisposto campagne marketing e Volkswagen Aktiengellshaft Germania in quanto ha prodotto gli autoveicoli e istallato il software al centro dello scandalo Dieselgate. Per Volkswagen Group Italia abbiamo esibito i dépliant pubblicitari che riportavano informazioni completamente diverse da quelle che lo scandalo Dieselgate ha accertato. Abbiamo inoltre prodotto il codice etico interno che Volkswagen si era dato e che coscientemente aveva violato con la pratica commerciale ingannevole”.

UN BRANO DELLE SENTENZA CHE FISSA LE RESPONSABILITÀ DEL GRUPPO VW
Di seguito un brano della sentenza 1855/2020 del Tribunale di Avellino nella causa civile iscritta al N.5799 R.G. dell’anno 2017 avente ad oggetto risarcimento danni, vertente tra …. rappresentato e difeso dall’Avv. Luisa Caprio, domiciliataria in Solofra (AV) … E Volkswagen Group Italia S.p.A. …; Volkswagen AG (Aktiengesellschaft-Vwag).
“La condotta del Gruppo VW rientra pertanto – e senza dubbio – nell’ipotesi di pratica commerciale “senz’altro ingannevole” di cui all’art. 23, comma l, lett. d) del Codice del Consumo, pure invocata da parte attrice. Va anche sottolineato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea ha frequentemente chiarito che nelle ipotesi previste dall’articolo 23 del Codice del Consumo, sussiste una presunzione assoluta di scorrettezza della pratica senza la necessità di verificare le ulteriori condizioni che normalmente integrano una pratica commerciale scorretta in difetto di presunzione (artt. 20 e ss.; cfr. CGUE 23 aprile 2009, in C-261/07; CGUE 14 gennaio 2010, in C-304/08; CGUE 18 ottobre 20l2, in C-428/l 1; CGUE 13 gennaio 2013, in C-206/11). Ma in ogni caso, la condotta descritta integra pratica ingannevole e comunque scorretta anche ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo: il consumatore è stato tratto in inganno su caratteristiche fondamentali ed ampiamente pubblicizzate dei veicoli in punto di emissioni, veicoli che presentano caratteristiche qualitative inferiori a quelle descritte; è stata omessa l’informazione dell’installazione sui veicoli di un apposito software con lo scopo di consentire la produzione di un livello di inquinamento superiore a quello consentito per legge, informazione rilevante ai fini di una decisione consapevole di natura commerciale da parte del consumatore; è stato violato in più punti il codice etico. Va poi chiarito che non vi è alcuna incertezza sul fatto che la classe di omologazione e i relativi livelli di emissione costituiscano una delle caratteristiche principali del prodotto in lite.
Sul danno. Non vi e dubbio sull’esistenza di un danno patrimoniale patitogli, che, leso nella sua libera determinazione da messaggi ingannevoli, scorretti o da omissioni informative riferibili alla installazione di un software di manipolazione dei dati delle immissioni, ha acquistato un prodotto credendo avesse caratteristiche che invece non aveva, e di qualità inferiore; per altro verso, ha sicuramente minor valore sul mercato dell’usato un mezzo con le rilevate problematiche. La liquidazione del danno non può che essere eccitativa. e può essere parametrata al minor valore dell’autovettura in termini percentuali rispetto al prezzo sostenuto per l’acquisto (che non è chiaramente leggibile nella proposta di acquisto in atti); stimasi equa la percentuale di deprezzamento dei 20%, oltre interessi sulla somma cosi determinata, dalla domanda al saldo”.
AutomobilismoIrpino.it ringrazia per la collaborazione e la disponibilità prestata il team legale Studio Avv. Luisa Caprio nelle persone del Dott. Romolo Clemente, del Dott. Alfredo Clemente e della Dott.ssa Nancy Caprio. (Comunicato Stampa)